Gio. Nov 21st, 2024

“La settimana decisiva”, un’opera che può aprire un dibattito su Taranto

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Una città irrisolta nei suoi conflitti. Il futuro post industriale, da molti agognato, non si lascia ancora svelare in termini concreti. La demografia di passaggio, come qualcuno comincia timidamente a definirla, terminato il novecento industriale che tanti lavoratori in cerca di stabilità ha attratto, comincia a riassorbirsi in mille rivoli. I giovani cercano strade di vita altrove, a partire dai percorsi universitari che in una città che ne offre di minimi, e sudditi del capoluogo di regione, non trovano sufficiente appetibilità in chi pensa in divenire. 

Cosa può, allora, ricostruire un’identità collettiva, nella città dei due mari, che il Novecento ha totalmente diluito nell’allargamento selvaggio di un’urbanistica sconsiderata, facente fronte ai cospicui flussi in entrata da ogni dove, di cittadini diventati tarantini loro malgrado, irriconoscenti verso il “mostro” che li ha richiamati e nutriti, e che, poi, li ha resi schiavi del proprio stesso gigantismo, vittime delle sue malattie, incatenati alle maglie della sua monocoltura e atterrati nel suo lungo e inesorabile declino?

La risposta, per ora, è la frammentazione conflittuale. Ogni prospettiva immaginata assume i connotati del dogma, la forma di una monade, diventa missione escatologica. L’una ricostruisce, a partire da un anno zero (diverso a seconda delle interpretazioni), una realtà alternativa che cancelli la Taranto industriale dalla storia e riproduca un immaginario diverso, alternativo. Una sorta di cancel culture che squalifica l’operaio, delegittima le maestranze, riduce all’oblio le tute blu, verdi, arancio, i caschetti e le mascherine, i guanti da lavoro che pure molti di noi, o dei nostri amici o parenti, hanno indossato o indossano. Oppure, all’opposto, la difficoltà di altri di non riuscire ad abbandonare la visione della Taranto industriale, di continuare a percepirsi indissolubilmente legati all’acciaieria, alle decine di migliaia di occupati,  impegnati senza sosta, come le miriadi di api operaie intorno al formicaio. Dediti alle attività manutentive, anche a fronte di una produzione in decrescita costante e che strutturalmente, e per infinite ragioni, è difficile immaginare raggiungere standard che garantiscano la sostenibilità economica dello stabilimento (soprassedendo per un attimo sulle altre sostenibilità).

Una lunga premessa che è riflessione prodotta da un interessantissimo volume, romanzo autobiografico e saggio al contempo, che ho avuto modo di leggere con rapito interesse a stretto giro dalla sua uscita in libreria. La settimana decisiva – Memorie dell’ultima fabbrica di Fabio Boccuni, un ex operaio sindacalizzato capace di imprimere memorie, riflessioni individuali e collettive e storie della fabbrica nei suoi anni di declino con uno stile fine e scorrevole.

Il crollo di un mondo che era identità, lo sfaldarsi di questa a poco a poco nel confronto fra le generazioni: la prima sindacalizzata e orgogliosa delle proprie maestranze, la seconda individualista e sempre più disimpegnata, la terza allo sbando. Tutto graduale, spalmato nei decenni, fino al rapido precipitare degli eventi nel 2012. Il dibattito che si fa scontro, gli operai schiacciati in mezzo: fra una proprietà che per anni ha trascurato le necessità di sicurezza del posto di lavoro oltre che i rischi sanitari e ambientali e i movimenti civici che a gran voce chiedono la soluzione definitiva: la chiusura senza indugi. La magistratura che anticipa i tempi, dispone il sequestro, emana mandati di arresto, avvia un processo lungo e complesso di portata storica. Finalmente qualcuno comincia a pagare per decenni di disastri impuniti al prezzo di decretare l’inizio della fine. La politica che fatica a schierarsi, e quando lo fa scontenta l’una e l’altra parte. Tutti hanno ragione per cui nessuno la ha davvero. La crisi, dunque, si fa totale.

Ripercorrere queste fasi che hanno gravato sulle vite di tanti, prestando finalmente attenzione ai piccoli e grandi drammi privati che hanno accompagnato la vicenda di Taranto, permeando a fondo le storie di ogni famiglia della città e della provincia, può essere finalmente il segnale di un nuovo tentativo di comprensione reciproca. La ripresa di un dialogo spoglio dalle ragioni polarizzate, in un’epoca che ha dimostrato che tutti abbiamo avuto ragione e tutti al contempo torto, e che, solo insieme attraverso un maturo dibattito collettivo, possiamo ricominciare a costruire basi solide per il futuro di Taranto, dalle sue grandi fragilità alle sue grandi sfide.

Questo volume, qui preso solo come principio di una più larga e a tratti introversa riflessione, operata nella coscienza individuale senza pretesa di verità e piena di rimorsi per le parole facili spese in ogni tempo e luogo, è probabilmente uno strumento che arriva al momento giusto. Sulla soglia di nuove settimane decisive in cui i lavoratori sono col fiato sospeso, così come anche le imprese dell’indotto; la nuova proprietà è sull’orlo del baratro, nessun attore istituzionale o economico sembra in grado di reggere il peso della situazione; i movimenti ambientalisti e politici frammentati e indecisi, gli alti profili istituzionali in totale confusione, risucchiati da una crisi di governo del territorio che è sopravvivenza dell’interesse spicciolo, aggrappato con le unghie a ciò che resta del ramo ove si è issato ed apatico verso la comunità che pretende di rappresentare.

di Antonio Erario

Attivista politico, appassionato di storia e geopolitica.

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