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Che ci fa Dante sulle monete da due euro? Noi, i Romani, le monete

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Dal 1˚ Gennaio 2002, in Italia circola l’Euro, la valuta comune di buona parte dell’Unione Europea. Il diritto della moneta è uguale in tutti gli Stati, raffigurandone il valore (1€, 2€…), mentre il rovescio presenta delle facce specifiche per ciascuna nazione. I simboli delle monete del nostro Paese ci sono subito familiari: Castel del Monte, la Mole Antonelliana, il Colosseo, la Venere di Botticelli, la scultura Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni, la colonna di Marco Aurelio, l’Uomo Vitruviano di Leonardo, Dante Alighieri.

Tali immagini rappresentano alcune icone della storia d’Italia, e ci ricordano nella vita di tutti i giorni la nostra identità culturale. La loro funzione affonda le radici nella storia romana; in particolare, agli albori dell’utilizzo della moneta a Roma.

I Romani[1] non si sono serviti di questi dischetti metallici dall’inizio della loro storia, bensì da un’epoca abbastanza recente, se rapportata alla storia greca: infatti, le prime monete furono coniate in Lidia (in Asia Minore, a quel tempo abitata da Greci e dunque parte della “Grecia” in senso lato) già dal 600 a.C. circa, mentre a Roma le prime emissioni regolari di monete di bronzo (gli assi) sono attestate dal 300-200 a.C. Ciò non significa che i Romani fossero più primitivi o più rozzi rispetto ai loro vicini, ma che, semplicemente, non ne avevano bisogno. Terreni, bestiame, ore di lavoro, quantità pesate di bronzo erano tutti mezzi di pagamento validi, che fosse per commerciare o per ripagare un debito. Non occorre, però, immaginare un confuso e inefficiente baratto. Potrebbe sembrare sorprendente, ma i Romani sin dall’età arcaica stimavano il valore delle loro proprietà in assi, eppure senza utilizzare gli assi-monete! Un asse era un’unità di valore astratta, corrispondente a una libbra (unità di misura standard del peso) di bronzo. Ad esempio, una multa di 100 assi  poteva essere ripagata con terreni, proventi del raccolto, o altro, a condizione che questi beni corrispondessero al valore di 100 assi.

Tutto questo ci serve a capire perché i Romani non vedessero la moneta principalmente come uno strumento di scambio o di accrescimento del benessere, né tantomeno come un’unità di misura del valore di un bene. In questo, non c’era nulla di nuovo! La vera novità della moneta risiedeva in altro. Un indizio importante ce lo fornisce il luogo in cui le monete erano coniate, ovvero dei laboratori presso il tempio di Giunone Moneta. Moneta deriva dal verbo moneo, «avvertire», «ammonire», «ricordare», più il suffisso –tas, che concretizza l’azione espressa dal verbo: Moneta, dunque, equivale a «colei che fa ricordare».

Non è facile capire quale significato considerare del verbo moneo, ma ci orienta verso «ricordare» soprattutto un frammento dell’Odusìa di Livio Andronico, cioè la prima traduzione in latino dell’Odissea: Nam diva Monetas filia docuit[2] («Infatti la divina figlia di Moneta insegnò…»)- il frammento fa parte di un’invocazione alla Musa, che viene chiamata “figlia di Moneta”, pertanto, Livio Andronico traduceva con “Moneta”, la madre della Musa, in greco Mnemosyne, la dea della Memoria! Per i Romani, allora, la moneta era più che altro un oggetto mnemonico, semiotico, perché riattivava nella memoria dei suoi utilizzatori miti, racconti delle origini di Roma o di importanti famiglie aristocratiche.

Nel poema dei Fasti, il poeta latino Ovidio fa una vera e propria intervista a Giano, il dio dei passaggi e delle porte, tanto da avere due volti, chiedendogli l’origine di varie usanze del popolo romano. Tra le tante domande, Ovidio non si trattiene dal domandare al dio perché un’antica moneta repubblicana di bronzo avesse raffigurato da un lato la sua testa biforme, dall’altro la prua di una nave, quesito a cui Giano risponde prontamente: il suo doppio volto serviva a farlo riconoscere (noscere nel testo) agli umani, la nave testimoniava (testificata nel testo) l’arrivo del dio Saturno nel Lazio, colui che portò il dono dall’agricoltura. Dal brano in questione emerge in modo abbastanza chiaro la funzione commemorativa della moneta, che risulta confermata dalle ipotesi che altri autori antichi, come Plutarco e Macrobio, formulavano sulle sue origini. Infatti, secondo Plutarco, la prua della nave era il simbolo del fiume Tevere, fonte di commercio e ricchezza, mentre, per Macrobio, aveva il compito di tramandare ai posteri la memoria dei doni civilizzatori di Saturno (quo Saturni memoriam in posteros propagaret).[3]

Un ultimo esempio. Spesso e volentieri, in epoca tardo-repubblicana le monete raffiguravano imprese celebri e racconti fondativi delle famiglie dei tresviri monetales di quegli anni, i magistrati addetti al conio. Infatti, Marco Emilio Lepido, futuro membro del celebre triumvirato assieme a Ottaviano e Marco Antonio, rivestì la carica nel 61 a.C. e fece emettere una moneta[4] che, sul rovescio, commemorava un’importante decisione presa dal padre: il restauro della basilica Emilia, facendo apporre dei prestigiosi scudi sulle colonne. Agli occhi dei moderni potrebbe non sembrare un evento eclatante, ma per i Romani la basilica era il cuore pulsante della vita civile, luogo dove si amministrava la giustizia e si trattavano affari; perdipiù, la basilica Emilia era antica, monumentale e situata proprio presso il foro romano. Le sue fondamenta sono visibili ancora oggi.

Il ricordo è quindi una delle funzioni essenziali della moneta, nella mentalità dei Romani. Forse, il retaggio di questa concezione è sopravvissuto nei secoli, fino ad oggi, visto che sul verso degli Euro troviamo ancora dei monumenti della nostra cultura, intesi nel loro significato più strettamente etimologico, ricordi (da moneo!). Castel del Monte rimanda all’eredità politica e architettonica che Federico II ha lasciato nel Meridione, la scultura di Boccioni commemora il movimento futurista, e, con esso, l’Italia del XX secolo proiettata verso il cambiamento, il futuro. La colonna di Marco Aurelio e il Colosseo, naturalmente, celebrano il legame con la Roma antica, mentre la Venere e l’Uomo Vitruviano rievoca le meraviglie delle arti e della tecnica del Rinascimento. La Mole Antonelliana rievoca un monumento di ingegneria dell’Italia post-unificazione, il profilo di Dante richiama alla memoria il padre della nostra lingua e il sommo poeta.

Ogni moneta dunque, un piccolo dischetto metallico, ci rammenta un tassello della storia italiana, di cui un piccolo lampo potrebbe talvolta illuminare la nostra mente, persino mentre compriamo un etto di prosciutto dal supermercato.


[1] Le principali fonti sulla storia della moneta a Roma e la loro connessione con la memoria sono due contributi del professore Cristiano Viglietti: Roman mythical thought and the origins of coinage (2024; capitolo In J. J. Tinguely (a cura di), The Palgrave handbook of philosophy and money: volume 1: ancient and medieval thought, pp. 343-362) e MONETA, la moneta, la memoria (2010; articolo dalla rivista Scienze dell’Antichità, 16, pp. 201-218).

[2] Liv. Andr., Od. Fr. 15 Mariotti=22 Traglia.

[3] Fonti antiche: Ov., Fast. I, vv. 229-240; Plut. , Quaest. Rom. 41 (274e-f); Macr., Sat. I, 21-22.

[4] La moneta è catalogata BMCRR Rome 3650 o Crawford 419.3a. Immagine free access a https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Denario_di_marco_emilio_lepido_con_la_basilica_emilia.jpg.

di Stefano Paciolla

Ho 22 anni e sono nato e cresciuto a Bari. Sono un grande appassionato di Storia, soprattutto antica; ho una laurea triennale in Lettere Classiche conseguita all'Università di Bari e attualmente frequento il corso di laurea magistrale in Lettere Classiche a Siena.

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