Dom. Dic 22nd, 2024

Fenomenologia del linguaggio: dai geroglifici alle GIFs

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Se il compito di una rivoluzione è quello d’interrompere un continuum storico ponendosi come crinale rispetto al passato e al futuro, l’avvento della realtà digitale lo ha assolto ampiamente. Esiste un pre-digitale e un post-digitale. Vietato concepirlo come parte integrante di un certo movimento del divenire. Il digitale non è la tappa di uno sviluppo dell’umanità che oggi raggiunge la sua massima evoluzione. Nient’affatto. Come un fanciulletto discolo che sguscia via dalla presa materna, il digitale sfugge ad ogni tipo di incameramento narrativo. Esso è l’inenarrabile svolta del nostro tempo, regola narrativa che ordina tutto ciò che sarà raccontato in seguito.

Di qui la consueta pioggia di corollari: cambiano le relazioni, il modo di lavorare, di amare, di muoversi, e di fare Dio sa che cosa. Tuttavia, ciò che ci riguarda più da vicino, e che meglio si attaglia al tenore degli approfondimenti che andiamo facendo da alcuni mesi, è la metamorfosi del linguaggio che ne deriva. Insomma, come siamo arrivati sino a questo punto? La complessità del pensiero e del ragionamento ne sono intaccate? E, soprattutto, quali riverberi sociali, umani e politici ha tutto ciò?
Questi gli interrogativi che hanno animato le righe che seguono.

DALL’ANALOGICO AL DIGITALE – La storia del linguaggio incomincia con i geroglifici egizi e i pittogrammi sumeri circa 5.000 anni fa. Gli Egizi e i Sumeri utilizzavano queste incisioni per compiti elementari, spesso per registrare il passaggio di animali, suoni della lingua o concetti astratti come l’abbondanza e la prosperità. Certo è che le ragioni che spinsero i primi uomini ad impugnare un affare simile a una penna per tracciare dei segni poterono essere solo di due tipi: comunicativo o mnemonico. Difatti, ancor oggi, non pare che si scriva per ragioni differenti: o scrivi perché vuoi comunicare con qualcuno (anche te stesso), o lo fai perché desideri ricordare qualcosa.

Con l’alfabeto fenicio, intorno al 1200 a.C., si ebbero delle notevoli evoluzioni concettuali. La scrittura iniziava ad essere più complessa e i concetti più nitidi. Stia in guardia il lettore: non si parlava ancora della raffinatezza linguistica degna di un dizionario complesso. La limatura e l’arricchimento della scrittura si ebbero però solo con l’alfabeto greco e latino: nacquero le opere filosofiche, i trattati e le opere letterarie. Da lì fu un continuo lussureggiare di opere e riflessioni, sino al XV secolo. Poi un grande salto si ebbe nel 1455 con la stampa di Gutenberg: non più manoscritti preziosi per pochi, ma libri accessibili a molti. La stampa uniformò la lingua, riducendo le varianti dialettali e preparando il terreno per le lingue nazionali.

Passarono secoli e le opere s’accumularono, permettendo alla popolazione mondiale di acquisire una coscienza collettiva. Nascevano e morivano i canoni estetici, le dottrine e le linee di pensiero. Pensatori, letterati e scrittori d’ogni sorta si industriavano operosamente per dare inchiostro a ciò che avevano nella testa. Da ultimo, nell’Ottocento e nel Novecento, ulteriori cambiamenti sopravvennero cambiando le carte in tavola. Arrivarono la radio e la televisione, grazie alle quali furono reintrodotte l’oralità e le immagini dinamiche nella comunicazione. La radio si prestava alla propaganda politica e alla pubblicità commerciale, proprio come fece la televisione più tardi. Ma lungi dall’essere alla fine della storia, la comunicazione, con la sua motilità magmatica e versatilità rappresentativa, stava cambiando di nuovo.

LA TRANSIZIONE DIGITALE E L’AVVENTO DEL LINGUAGGIO CONTEMPORANEO – Qui il continuum storico bruscamente s’interrompe. Come un’esplosione improvvisa squarcia il velo di silenzio che la precede, l’avvento del digitale interrompe con violenza la lineare storia del linguaggio. Velocità, energia necessaria e costi di comunicazione vengono completamente rivoluzionati.
Nuovi elementi alfabetici si impongono per sofisticatezza e semplicità al tempo stesso: emoji, meme e GIFs diventano utilizzatissimi. In spazi più ampi di questo è possibile ritrovare una dettagliata disamina di ognuno dei nuovi elementi introdotti nell’alfabeto digitale. Noi, al contrario, per le ragioni che con evidenza risaltano (spazio e tempo di fruibilità), ci contenteremo di scandagliarne i caratteri generali.
Simili ai geroglifici dell’antichità, i nuovi elementi trasformano intere frasi in simboli evocativi, aggiungendo sfumature emotive a messaggi testuali; alle volte rappresentano una forma di linguaggio visivo collettivo, utilizzando immagini per rappresentare situazioni comuni in maniera ironica e incisiva. Quasi un luogo comune espressivo di natura immaginifica. Attraverso le animazioni in loop, sono in grado di sprigionare una forza espressiva che trascende il testo. Testo e meta-testo sono parimenti superati dall’immagine.

L’ascesa del linguaggio digitale riflette un cambiamento paradigmatico che ridefinisce la nostra percezione del mondo e il modo in cui interagiamo con esso. Seguendo le intuizioni di Marshall McLuhan, “il medium è il messaggio”; il digitale non si limita a trasformare i mezzi di comunicazione, ma plasma anche il nostro pensiero e le relazioni sociali. La logica reticolare del linguaggio digitale, ispirata al modello rizomatico di Gilles Deleuze, crea connessioni associative anziché gerarchiche, favorendo la creatività e aumentando la frammentazione cognitiva.

APOCALITTICI E INTEGRATI – Infilando la strada della conclusione non resta che dare soddisfazione agli ultimi interrogativi che abbiamo scomodato in premessa. Dire con assoluta certezza che la complessità del pensiero sia compromessa dall’avvento di nuovi linguaggi digitali sarebbe come tentare di dare veste scientifica ad un preconcetto conservatore. A sostegno di questa tesi, che taluni non tarderanno a definire “attendista”, potremmo chiamare il periodico, eterno loop degli apocalittici: il nuovo è sempre peggio del vecchio. Anche la stampa sembrava potesse facilitare troppo il processo di scrittura, sino a ridurre la complessità dell’elaborazione; e così a seguire la macchina da scrivere, la radio e il computer. Non sempre questo pernicioso presagio si è avverato. Talvolta, ad una maggiore facilità tecnica di accesso allo strumento è corrisposto un incremento dei contenuti (si veda la macchina da scrivere).

E magari, da ultimo, una “dottrina” non dissimile andrebbe applicata all’ultimo interrogativo. Accertare riverberi sociali o politici nefasti non è affare per i contemporanei, ma lugubre mestiere che spetta ai posteri. Il progresso digitale non è ad una sola faccia: alla disintermediazione si è opposto l’universalismo, alla entropia si è opposta la velocità e alla reificazione l’efficienza. Alle volte, piuttosto che opporsi stoltamente all’ineluttabile metamorfosi degli eventi, l’uomo dovrebbe fare esercizio di pragmatica e lavorare per una reinterpretazione sistematica della (nuova) realtà. Pena divenirne oggetto senza accorgersene. Classica questione da apocalittici e integrati.

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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