Esiste un momento preciso in cui si smette di essere un bambino e si inizia ad essere un ragazzo, e poi ce n’è un altro molto simile in cui si smette di essere un ragazzo e si comincia ad essere un uomo. Succede a tutti, ma proprio a tutti. Puoi essere Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone o la signora Carmela del pianterreno, non scappi: sarai inesorabilmente portato a vivere questi momenti di cambiamento. E caspita, sono momenti importanti, fondamentali.
Eppure ciò che resta decisamente più affascinante è il passaggio di mezzo: quella fase di trapasso in cui non si è né carne né pesce. Ritroviamo lì il momento più delicato, insidioso e rocambolesco della vita dei fanciulli. Parliamo, insomma, di quei momenti in cui il ragazzo si sente «povero e nudo, come un alberello che dopo la prima fioritura ancora senza frutto sperimenta il primo crudo inverno»[1].
Questa “fase”, sempre se così la si può chiamare, è stata definita dagli studiosi «liminalità» (da limen, soglia), e viene associata a stati di sospensione, ambiguità e indeterminatezza. Per questo, se ci si vuole occupare dell’adolescente, del suo mal di vivere e del suo ruolo nel futuro, è lo stato di liminalità che bisogna osservare.
VAN GENNEP E I RITI DI PASSAGGIO – Sin dalla notte dei tempi, la società celebra il trapasso da una condizione ad un’altra attraverso dei rituali. Quanto all’inizio dell’età adulta, lo facevano i greci con l’addestramento militare dei giovani, così come i romani con la cerimonia della toga virilis. E così via anche per il Medioevo e l’Età moderna: l’allontanamento del giovane da casa per il tirocinio presso la bottega di qualche maestro artigiano, oppure l’investitura dell’ordine della cavalleria, o ancora le cerimonie religiose della cresima nelle campagne, erano tutti esempi di riti di passaggio che similmente celebravano l’ingresso del fanciullo nella società degli adulti.
Arnold Van Gennep aveva acutamente osservato che questi trapassi rendono innanzitutto un’evidenza empirica: in ogni società generale ci sono più società particolari. Come sostenere il contrario? Nella società generale degli uomini troviamo quelle particolari dei giovani e degli adulti, dei maschi e delle femmine, dei religiosi e dei miscredenti, e così tante altre, anche non necessariamente dicotomiche.
Il grande merito di Van Gennep sta proprio nell’aver dato una sistematicità allo studio di questi fenomeni attraverso il saggio I riti di passaggio del 1909. Difatti è grazie a lui che oggi siamo in grado di distinguere i tre momenti fondamentali che permettono il trapasso: separazione, marginalità (anche liminalità) e incorporazione.
La liminalità non è altro che il momento di contemporanea marginalizzazione dalla società da cui si è separati e da quella in cui si intende entrare. Prendendo l’esempio dell’adolescente di oggi, che è il nostro caso di studio, possiamo riconoscere nella fascia d’età che va dai 13 ai 18 anni questa fase di liminalità. L’adolescente non è più un bambino e non è ancora un adulto: è un marginalizzato dalle due società particolari.
TURNER, LIMINALITA’ E COMMUNITAS – Dato che l’impegno intellettuale è una staffetta, dagli studi di Van Gennep prese le mosse Victor Turner. Il noto antropologo britannico si concentrò principalmente sul concetto di liminalità, e nel saggio Il processo rituale, struttura e antistruttura riuscì persino a tracciarne i caratteri essenziali.
Turner andava dicendo che questa delicatissima fase provoca innanzitutto ambiguità nel soggetto che compie il trapasso. Non ha più un’identità ben definita, e nella pulsione verso la nuova incorporazione rimane nudo, equivoco. Tuttavia, questa ambiguità è condizione comune, e perciò provoca un forte senso di egualitarismo e di solidarietà tra coloro che sono nella stessa condizione. Qui si snoda uno dei concetti chiave dell’analisi turneriana: la communitas, che, per dirla in parole povere, non è altro che quella esperienza di sospensione delle gerarchie e di forte eguaglianza tra i soggetti che si ritrovano insieme a vivere la fase liminare.
Il tratto più importante della liminalità tuttavia è la forte componente creativa e di rinnovamento dei propri membri. La sospensione di ogni gerarchia e lo “status ambiguo” di ognuno generano la condizione propizia per innovare e costruire cose nuove. La portata fortemente rinnovatrice degli adolescenti nel nostro caso potrebbe non essere intesa come una qualità connaturata al giovane (il classico «Ma sono dei ragazzi, è normale che siano anormali»), ma come la condizione comune a tutti quelli che si trovano a vivere la fase di liminalità. Qui sta la rivoluzione culturale e la metamorfosi dei costumi, nonché la destrutturazione della banalizzazione della giovinezza.
Questo tassello era indispensabile per capire bene cosa sono i riti di passaggio e, più nello specifico, cosa rappresentano per l’adolescente. Come dicevamo prima, sono momenti delicatissimi e connotati da una forte pericolosità. Per rendere un’idea, immagini il lettore cosa voglia dire vivere nella sospensione totale, dove le regole ordinarie sono temporaneamente bandite (Turner chiamava questa condizione «antistruttura»): una sorta di terra di nessuno, di selvaggio West dove non ci sono più riferimenti concreti. Il rischio di violenza (bullismo), autodistruzione (suicidio) e danneggiamento (consumo smodato di droghe e alcol) sono elevatissimi.
HOLDEN, TÖRLESS E WERTHER: I RITI DI PASSAGGIO E LA LETTERATURA – Non serve essere un letterato, un grande intellettuale, un filosofo o chissà chi per capire che la letteratura è la prima scienza della vita. Spesso solo lei è in grado di scendere sin nel profondo del cuore degli uomini, meglio di qualunque antropologo o strizzacervelli. E infatti, proprio in riferimento a quello di cui ci occupiamo in queste righe, troviamo tre fulgidi esempi di questa lungimirante profondità: Il giovane Holden di Salinger, I turbamenti del giovane Törless di Musil e I dolori del giovane Werther di Goethe. Capolavori senza tempo che anticipano e sintetizzano tutto quello che è stato scritto negli anni successivi sull’adolescente e sui riti di passaggio.
Qui lo spazio non ci permette di scendere troppo nel dettaglio, ma uno sguardo a volo d’uccello permette sicuramente di ritrovare in ognuno di loro i rischi e i pericoli che Turner delineò in salsa scientifica. Werther si suicida, Törless assiste alle torture nei confronti di un suo coetaneo e Holder vive giornate dissolute e disorientate. Ci sono tutti. Ognuno di loro poi ha decisamente perso l’identità infantile e fatica guadagnare quella adulta. C’è chi viene travolto dalle passioni, come Werther, chi nell’isolamento osserva le meschinità del mondo, come Törless, e infine chi viaggia ramingo in cerca di se stesso, come Holden.
Se da un lato alcune delle più intense pagine della letteratura ci forniscono un’immagine plastica di questa condizione, dall’altro emerge con ancora maggior vigore un carattere che sembra essere poi la stampella del rinnovamento dell’adolescente: la fragilità. Qui Musil lo spiega meglio di tutti: «Se in quel periodo si svelasse a un giovane la ridicolaggine della sua persona, la terra gli crollerebbe sotto i piedi, egli precipiterebbe come un sonnambulo che, improvvisamente sveglio, non vede che vuoto intorno a sé»[2].
I RITI DI OGGI E LA MISSIONE DELL’ADOLESCENTE – Veniamo all’oggi e quindi alla conclusione. Anche oggi i riti di passaggio ci sono, sebbene siano irrimediabilmente cambiati. Si scordi quindi il lettore conservatore di girare per strada e d’imbattersi in qualche giovanotto che sta indossando la toga virilis durante le cerimonie del Foro: non c’è più la gioventù di una volta!
Oggi quella toga s’indossa idealmente con il conseguimento di un titolo di studio (diploma o laurea) o della patente di guida, con l’ingresso nel mondo del lavoro, col matrimonio o con la nascita dei figli. Momenti catartici che sanzionano l’ingresso nel mondo nuovo. Questi riti di oggi, allo stesso modo di quelli di ieri, celebrano il compimento delle tre fasi descritte da Van Gennep: in ognuno di essi c’è separazione, liminalità e incorporazione. E la fase più delicata rimane sempre quella di mezzo. Quando non si è né carne né pesce, eppure si è qualche cosa, si vive. In quel preciso momento, l’adolescente è libero, disincagliato da ogni catena, capace di generare tutto ciò che agli incatenati – adulti o bambini che siano – è rigorosamente precluso.
Alla stregua di un novello Prometeo – “liberato”, per dirla con Shelley – l’adolescente è posto nelle condizioni di creare e di rinnovare i codici culturali degli uomini, portando loro un fuoco che oggi è appannaggio solo dei folli e degli emarginati. Eppure qui, sul limitare di questo articolo, una domanda balugina inquieta: saremo capaci di riconoscerlo e di serbarne la scintilla? oppure lo reputeremo erroneamente un incendio e correremo a spegnerlo?
[1] Musil, Robert. I turbamenti del giovane Törless, p. 13, traduzione di Annarita Rho. Torino: Einaudi, 1959.
[2] Ibidem, p. 17.