Gio. Nov 21st, 2024
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Un’alleanza militare che nasce all’indomani della seconda guerra mondiale per compattare il fronte occidentale in opposizione al debordante avversario sovietico, portatore di una ideologia politica altra rispetto a quella liberal democratica, capitalista, americana.

La guerra fredda, la cortina di ferro che per quarant’anni spacca in due l’Europa fra le sfere di influenza delle due potenze globali l’un contro l’altra armate, è la ragione ideologica che sostiene l’esistenza di tale alleanza difensiva e che giustifica la presenza militare americana in Europa. Va riconosciuto che tale diramazione imperiale, abbastanza ben digerita dalle opinioni pubbliche occidentali perché condita dai fondi per la ricostruzione post bellica del Piano Marshall, fa comodo ai governi europei: appaltare la propria difesa agli USA diviene un modo per dedicare maggiori risorse della spesa pubblica ad un welfare generoso, che pone le basi dell’Europa dei diritti sociali e dei servizi sanitari nazionali. Benefici distribuiti
tra le popolazioni che rendono possibile smorzare l’appetibilità del sistema socialista sovietico e garantiscono la pace sociale.

L’elemento di legittimità del sistema militare NATO viene meno tra la fine degli anni 80 e i primi 90, in seguito alla dissoluzione per implosione del blocco nemico. Eppure in quegli anni la chiave interpretativa che la NATO adopera dell’arretramento russo è quella della bulimia territoriale: si avvia un rapido processo di acquisizione all’alleanza difensiva di quanto più fosse possibile arraffare sul fronte Est, eliminando la presenza di una distanza cuscinetto tra la superpotenza globale uscita egemone incontrastata dalla fine della guerra fredda, e la potenza umiliata che cova in segreto, agli albori dei sonni notturni, il proprio desiderio di riscatto.

L’elemento di comodo, invece, quello della convenienza per i governi europei nell’appaltare la propria difesa agli USA, comincia ad entrare in crisi quando la presidenza Trump comincia a rendere seri i fino ad allora vacui moniti al rispetto del vincolo del 2% della spesa militare per i paesi membri. Oggi il rispetto di questi vincoli è impegno ormai preso, a forzare la mano alle ultime reticenze la guerra in Ucraina che sta impegnando a fondo le riserve di armi e munizioni americane e sta richiedendo importanti stanziamenti di risorse finanziarie che cominciano a destare malumori in patria.

Ultimo elemento di contesto prima di arrivare al settantacinquesimo compleanno della NATO.

Dalla fine della presidenza Obama, in accelerazione durante la presidenza Trump, e strutturalmente durante il mandato di Biden, la contesa USA Cina ha assunto sempre più i toni di una guerra commerciale prima, e di una resa dei conti militare poi. I dazi americani sui prodotti di importazione cinese, la politica di decoupling sui settori strategici (semiconduttori in testa), la partita giocata sull’Ucraina che coinvolge in maniera sempre più diretta la Cina, le continue crisi su Taiwan, le contese sul mar cinese meridionale, gli accordi Aukus, Quad, Squad, che aumentano la presenza militare americana e coinvolgono sempre
più attori in funzione anticinese. La Cina è espressamente per la politica, per l’economia, per la finanza e per la burocrazia americana il nemico giurato di questo secolo.

La festa di compleanno, quindi, per arrivare alle ragioni odierne di questo articolo, avviene attraverso un summit i cui punti all’ordine del giorno sono: allargamento a est nella strategia dell’accerchiamento alla Cina e incremento del sostegno all’Ucraina.

Insopportabile per gli osservatori esterni, e per molta parte delle opinioni pubbliche dei paesi membri l’odioso doppiopesismo: da una parte sostanzialmente si ignorano i violenti attacchi israeliani alle scuole di Rafah degli ultimi giorni, dall’altro si usa il bombardamento di un ospedale pediatrico ucraino (fatto di per sé terribile) per trattare forniture di F16, munizionamento e premere per una missione NATO piedi per terra in Ucraina (questo in maniera non dichiarata ma dato di fatto inevitabile se si decide di continuare il conflitto, viste le condizioni di scarsità del personale militare ucraino). Non all’ordine del giorno il pensiero delle ulteriori mattanze che proseguire questo conflitto provocherà nonostante qualunque
arma e qualunque abbondanza di munizioni possa essere messa in mano ucraina da oggi a data indefinita.

Gli assetti di pace sono, nella lettura che esce dal summit, compromessi: l’unica prospettiva di sicurezza immaginata dai vertici militari passa dall’idea di stringere la morsa su Cina e Russia con il rischio di perdere anche le ambigue restanti relazioni con l’India. Modi, che gioca un po’ su tutti i tavoli, compie la sua prima visita di stato del secondo mandato in Russia proprio mentre l’occidente parla di Nato asiatica, segnale significativo sul piano diplomatico.

La strategia da perseguire nell’immediato è quella di incrementare il numero di alleati in ogni parte del mondo (promesso l’ingresso all’Ucraina anche se non sono chiari i tempi) e incrementare la spesa militare di chi già è dentro. Il tutto seguendo una guida politica tracciata secondo gli obiettivi egemonici del peso massimo militare.

Per l’Italia, poi, piegata a questa strategia del decoupling economico per blocchi geopolitici e dell’incremento della minaccia militare, non resta che annunciare, come fatto da Giorgia Meloni in questi giorni, l’incremento delle spese militari operando spending review ai danni di enti locali, sanità e istruzione, adeguandosi ai diktat imposti in un momento di riarmo funzionale alle guerre del futuro.

Sullo sfondo, come se tutti avessero dimenticato, le reciproche minacce nucleari, che hanno persino perso la loro denominazione di “deterrente”.

di Antonio Erario

Attivista politico, appassionato di storia e geopolitica.

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