Che sognino o sian desti.
Consapevoli o ignari.
Lucidi o velati di torpore.
L’età delle passioni tristi, di uomini post moderni in lotta con inquietudine e angoscia, ansia e vulnerabilità, sterili frutti di una dimensione ipertecnologica che li allontana dalla dimensione naturale e li condanna alla tensione produttiva di cose e piaceri.
Qualcuno si addormenta con la sedazione di uno spritz di troppo, ma al risveglio un’inquietudine senza oggetto colpisce in sordina e li condanna a rimanere senza risposta, alla continua ricerca del piacere. L’ansia dell’approvazione da parte degli altri, l’ansia di non rimanere nell’invisibilità e nell’anonimato, l’ansia di essere all’altezza di modelli precostituiti .
Posto, ergo esisto.
Tutto il resto rimane sospeso in attesa, perché fare i conti con la propria dimensione umana costa fatica, complessità, quindi meglio soddisfare desideri immediati, che interrogarsi sulle grandi domande e lavorare nella profondità della ricerca. La vita è breve, va vissuta, tanto Dio è morto e da questa dipartita si irradia la vita transeunte che deve consumarsi nell’attimo di una vacanza, di un aperitivo, di una relazione umana che finisce nel battito di un’emozione e di una spinta passionale, perché niente dura, tutto passa e trascina con sé la bellezza che eravamo un tempo. In realtà siamo una generazione che teme il tempo, il tempo oggettivo e spietato della natura che inaridisce i nostri corpi e che noi tentiamo di riempire con le magie del filler e di fermare con il potere del botox. Riempire, idratare, conservare, tenere in piedi la materia e, chissenefrega della forma? Della sostanza? Sono concetti metafisici ai quali non possiamo dare risposta definitiva, quindi meglio godere dell’attimo, del piacere immediato di una serata con amici nel locale di tendenza e poi postare, postare due parole e basta, ci vuole sintesi. Scrivere e leggere oltre quelle poche righe costa fatica, danneggia, crea paranoie, meglio godere adesso. Tra poco saremo morti, non avremo niente da raccontare, ma tante bevute da ricordare, sempre che fossimo abbastanza lucidi da ricordarle quando sorseggiavamo convinti di divertirci. Perché il senso rimane quello: divertirsi.
Cosa resta? Restano inquietudine e ansia, connaturate nella lunga catena di acido desossiribonucleico che ci caratterizza, che ci individua, perché solo scienza ci inquadra oggettivamente, tutto il resto sono inutili interrogativi, nocivi e complessi, non convengono.
L’età del cazzeggio ha seppellito il senso delle cose, le creazioni artistiche, letterarie, filosofiche, perché cazzeggiare promette sedazione, ma più tenta di sedare e più contribuisce a far emergere il vuoto. Tanto vuoto intorno e dentro. Fa niente, vado in analisi e mi faccio ascoltare, perché gli altri non ascoltano, ti inondano di inutili racconti autoreferenziali, per la semplice ragione di soddisfare un’esigenza estetica.
L’età delle passioni tristi è quella dei piaceri immediati. È la nostra, cogliamo l’attimo, perché domani è un altro giorno, o anche no.
Finisce tutto qui.
Niente dura, anche l’arte e la musica non garantiscono l’immortalità, promettono piacere. E il piacere è nell’attimo.
Volevamo essere immortali, adesso vogliamo solo vivere.