Se per un attimo volessimo porci fuori da quelle narrazioni facili che riducono la guerra ad una scelta esistenziale obbligata (tesi dei necessitaristi) o al delirio dell’uomo solo al comando fuori dall’ordinario recinto della sanità mentale (tesi dei [de]monisti), potremmo osservare il sottosuolo di relazioni politiche, economiche e militari che sorregge le guerre garantendo la loro perpetuazione. Il caso di studio potrebbe essere proprio il rapporto tra Italia e Israele, con particolare riguardo ad un aspetto dirimente il funzionamento di ogni guerra: la fornitura di armi.
L’EXPORT DI ARMI ITALIANO E I RAPPORTI CON ISRAELE – L’export totale di armi delle aziende italiane nel 2023 ha raggiunto una cifra considerevole (6,31 miliardi di euro), seguendo il ritmo ascendente che negli ultimi 5 anni ha portato ad un aumento dell’86% delle autorizzazioni concesse. Tra i clienti delle società italiane di armi nel 2023 – circa 82 Paesi – signoreggiano Francia, Ucraina, Stati Uniti, Arabia Saudita, Turchia e Kuwait. I rapporti economico-militari con Israele sono invece rimasti stabili quanto alle esportazioni (9,9 miliardi di euro), mentre sono incrementati sul versante delle importazioni (31,5 miliardi di euro).
La vendita di armi in Italia non è integralmente libera, e ogni società deve essere autorizzata da parte del Governo. Ad affiancare e monitorare le decisioni governative c’è un comitato tecnico, l’UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento). Come noto, sin dall’inizio delle guerra di Gaza, l’UAMA ha disposto la sospensione del rilascio di autorizzazioni per l’invio di armi ad Israele. Le società italiane non hanno più ottenuto autorizzazioni per vendere armi a Tel Aviv, perché secondo le norme italiane non si può commerciare in armi con uno Stato in guerra (fatta eccezione per le guerre di difesa, come in Ucraina). Il Governo italiano, di conseguenza, ha quindi garantito un sostegno diplomatico (si vedano i voti contrari o astenuti in sede ONU), ma non economico-militare al governo israeliano.
Tuttavia, una recente inchiesta di Altraeconomia sostiene che l’Italia abbia continuato ad esportare armi a Israele dopo il 7 ottobre. Le somme non sarebbero considerevoli, ma la mancanza di trasparenza non permette di comprendere il meccanismo di assunzione delle decisioni e il rispetto delle norme procedurali – a rigori, non è da escludere che quelle commesse attengano a ordini presi prima dello scoppio della guerra, giacché il divieto posto in esse dall’UAMA si applica solo alle autorizzazioni successive. Nello specifico si tratterebbe di circa 810.000 euro di forniture tra ottobre e novembre scorsi. Le armi inviate sono in parte oscurate (147.000 euro vengono “coperti” dall’ISTAT, che non rivela l’oggetto dell’esportazione), mentre per il resto sarebbero fucili, carabine e pistole a molla.
L’Italia è il terzo Paese nella classifica delle importazioni israeliane di armi (i primi due posti sono occupati da USA e Germania), ma contribuisce all’armamento di Tel Aviv solo per lo 0,9% del suo arsenale. Ciò che Roma prevalentemente fornisce sono elicotteri da combattimento e artiglieria navale, fucili, munizioni, bombe, siluri, razzi, e varie apparecchiature da guerra. Si comprenderà che l’aiuto economico-militare italiano ad Israele non è decisivo né indispensabile, e che un eventuale embargo non avrebbe effetti decisivi sull’esito della guerra a Gaza.
Per approfondire:
Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per l’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, 2022 – Camera dei Deputati.
“Quanto vale il commercio di armi tra Italia e Israele“, Federico Gonzato (Pagella politica).
“La spesa militare globale aumenta in un contesto di guerre, crescenti tensioni e insicurezza“, Redazione (SIPRI).
“L’Italia ha esportato “Armi e munizioni” verso Israele dopo il 7 ottobre. I dati dell’Istat“, Duccio Facchini (Altraeconomia).
“L’export italiano di armi nel mondo vola, ma la trasparenza adesso è a rischio“, Simone Santi (Lifegate).
I PRODUTTORI DI ARMI ITALIANI – Anche se un ruolo centrale è svolto dal Governo italiano, quantomeno in ordine alle autorizzazioni, non è sicuramente secondario quello svolto dalle società italiane. Infatti sono proprio le strategie industriali, le acquisizioni estere e gli investimenti in Paesi esteri a sparigliare il quadro giuridico ed economico appena tracciato. Pare opportuno sottolineare ai lettori che i dati comunicati da Istat e Parlamento attengono esclusivamente alla vendita da parte delle società italiane, e in tali report non è possibile individuare le armi vendute da parte di società controllate da parte delle società italiane in altri Paesi esteri. Per quel tipo di vendite si applicano le norme di trasparenza e i principi normativi dello Stato di appartenenza, e tali dati aggregati non sono collegati alla relazione parlamentare italiana.
Un caso esemplare è dato da Leonardo spa. Nel luglio 2022 ha acquisito la società israeliana RADA Electronic Industries, specializzata in radar per la difesa a corto raggio e anti-droni; poco tempo dopo è nata DRS RADA Technologies, controllata da Leonardo DRS Inc. e con sede negli Stati Uniti. Quest’ultima ha oggi tre sedi israeliane (Netanya, Beit She’an e Beer Sheva) e fornisce armi a Tel Aviv. Inoltre, Leonardo spa, proprio grazie alle sue controllate negli USA, ha la possibilità di sostenere la mobilità dei mezzi pesanti dell’esercito israeliano, fornendo carrelli a due assi in grado di trasportare carichi sino a 77 tonnellate (specialmente Caterpillar DG).
Si comprenderà, dunque, che non è possibile stabilire attraverso i report italiani che Leonardo spa e le altre società italiane non forniscono armi ad eserciti in guerra, dal momento che questo sistema di monitoraggio non è armonizzato con quello previsto dagli altri Stati. Gli unici dati che è possibile valutare con sicurezza sono i ricavi dal settore della difesa della società (oltre 12 miliardi di euro) e la sua posizione di assoluta leadership europea nel settore degli armamenti.
Per approfondire:
“Cosa produce Leonardo per Israele“, Redazione (The Weapon Watch).
“Las empresas de armas más grandes del mundo“, Alvaro Merino (EOM).
“Las empresas de armamento más importantes de Europa“, Alvaro Merino (EOM).
“Leonardo e la militarizzazione della ricerca accademica“, Paola Rivetti (il Manifesto).
L’EMBARGO A ISRAELE E L’ONU – Lo scorso 5 aprile il Consiglio ONU per i diritti umani ha approvato una risoluzione non vincolante per la cessazione dell’invio di armi a Israele, esprimendo una grave preoccupazione per le denunce di violazione dei diritti umani e per le accuse di genocidio ai danni della popolazione palestinese. La deliberazione ha visto il voto contrario di 6 Paesi, tra cui figurano Stati Uniti e Germania (posizione scontata, dati rapporti economico-militari di entrambi con Tel Aviv). Tra le preoccupazioni avanzate dal Consiglio figurano l’utilizzo bellico dell’intelligenza artificiale, l’estensione del numero di civili coinvolti negli attacchi mirati e le violazioni del diritto internazionale umanitario; tutti elementi ancora oggi presenti nell’assedio militare di Gaza.
Alla luce dei dati analizzati, pare evidente che l’embargo ai danni di Tel Aviv e l’impegno diplomatico per un’immediata cessazione del conflitto debba ineluttabilmente coinvolgere i principali Paesi che forniscono sostegno economico-militare allo Stato ebraico (Stati Uniti, Germania e Italia). Lo strumento di pressione geopolitica più rilevante rimane chiaramente la fornitura di armi e il sostegno economico. L’invasione di Rafah e le incognite sul destino dei gazawi pesano notevolmente sulle opinioni pubbliche occidentali, cosicché ognuno di questi Stati dovrà, prima ancora che con le risoluzioni ONU, dare conto delle proprie condotte alla società civile.
Per approfondire:
“Gaza: Human Rights Council resolution urges arms embargo on Israel” (ONU).
“Il Consiglio Onu per i diritti umani: Israele sia ritenuto responsabile di crimini guerra“, Redazione (ANSA).
“Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite chiede di fermare la vendita di armi a Israele” Redazione (Internazionale – Afp).