Mer. Gen 15th, 2025

Kant, il diritto ad avere un posto nel mondo

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Immanuel Kant (1724-1804) è stato uno dei filosofi più importanti del XVIII secolo, celebre per il suo empirismo e per la sistematicità dei suoi ragionamenti. È sicuramente conosciuto per i suoi scritti maggiori — le tre “critiche” (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica e Critica del giudizio) — ma senza dubbio assumono una grande importanza anche ulteriori opere, tra cui Per la pace perpetua (ted. Zum ewigen Frieden, 1795), che spicca per il suo forte afflato politico-propositivo.

In tale libello — che si presenta anche nelle vesti di un ‘trattato’ da far sottoscrivere ai Capi di Stato, più che come una mera esposizione di natura politologica — Kant cerca di conciliare la politica internazionale con dei paradigmi etici, mostrando di interessarsi a quel variegato ramo della filosofia che s’interroga su come debba costruirsi una nuova dimensione mondiale fondata sulla pace e sulla cooperazione.

Precisamente, quando si parla del Kant “politico” si parla più nello specifico del Kant “cosmo-politico”: ciò apre a prospettive di pensiero oggi forse ampiamente sottovalutate, e in potenziale contrasto col rigurgito nazionalista e isolazionista di cui è preda la comunità internazionale. Kant si è rivelato, pertanto, un pioniere nel rilancio di tale visione politica 1. Ma a differenza degli stoici — che non avevano un modello a cui riferirsi — Kant osservava le nascenti realtà statuali del suo tempo, che vedeva come pilastri su cui costruire il suo assetto cosmopolitico. In tal senso, il filosofo intendeva conciliare l’importanza dello Stato in sé con l’impellenza di sviluppare proficue relazioni internazionali — nonché un valido e rispettato diritto internazionale.

In merito al pensiero politico kantiano, vi sono diverse interpretazioni. Secondo un filone, in Kant v’è una frattura tra l’ordine domestico-statuale e l’ordine cosmopolitico, tale che il cosmopolitismo stesso non può che rimanere una forma di utopia agognata ma impossibile da implementare, giacché carente di una strutturazione giuridico-istituzionale e di elementi fondamentali presenti invece nelle realtà statuali.
Invece, la lettura del prof. Claudio Corradetti 2 vuole ricondurre la visione kantiana a una dimensione più unitaria, per la quale c’è una connessione tra la legittimità degli Stati e quella di un ordo cosmopolitico in cui essi stessi operano. In tal modo, i governi (necessariamente di tipo repubblicano) possono agire in modo legittimo e compiuto solo se all’interno di una visione ‘cosmopolitica’ della politica — quindi non soltanto ponendo in essere Costituzioni repubblicane all’interno dei domini statuali, ma anche esternalizzandole mirando alle relazioni internazionali.

In quest’ottica, con Zum ewigen Frieden — ove Zum può esser meglio tradotto in Verso (al posto di un ambiguo Per, che non dà giustizia al contenuto), che meglio rimarca l’idea di un percorso da intraprendere — Kant vuol teorizzare un sistema di pace che ambisce a essere realizzabile e, dunque, giuridicamente fondato: non vuole presentarlo come l’ennesima utopia o come un mero desiderio di pace, né basarlo su modelli così esigenti da mettere in ridicolo i loro stessi ideatori 3. Ecco perché egli è un normativista (non un utopista) che però accoglie elementi realisti: deve poter pur attuare il suo modello politico nella Storia — e cioè deve essere realizzabile e realisticamente credibile. 4

Il Terzo articolo definitivo. Kant articola l’opera in due Sezioni, che contengono gli articoli preliminari e gli articoli definitivi per la pace perpetua, due Supplementi e un’Appendice. In un’attualizzazione del suo pensiero, sicuramente risalta il Terzo articolo definitivo per la pace perpetua, che pur si aggancia ai precedenti nel quadro pratico delineato dall’autore. Da tale articolo si può certamente trarre ispirazione laddove si considera la problematica questione immigratoria che attanaglia le realtà europee da più di un decennio. Infatti, Kant stabilisce dei punti-cardine in base ai quali orientare il proprio comportamento rispetto all’arrivo di persone esterne al proprio Stato, operando significative distinzioni concettuali che pur determinano nella realtà importanti ricadute pratiche.

L’articolo recita: «Il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni di ospitalità universale.» Quello di cui parla Kant è espressamente il Besuchsrecht — il “diritto di visita” — e non il Gastrecht, ossia il “diritto a essere ospite” che affonda le sue radici nello ius hospitii romano o nella xenia greca. Ma il filosofo precisa che, in ogni caso, non si discute di filantropia, bensì del diritto, e in questo caso «ospitalità» [Hospitalität] significa il diritto di uno straniero a non essere trattato ostilmente da un altro a causa del suo arrivo sul suo territorio. Questi lo può respingere, se ciò può avvenire senza la sua rovina; ma, finché al suo posto si comporta pacificamente, non può andargli incontro con avversione.

Insomma, in modo molto secco Kant spiega che il diritto cosmopolitico (jus cosmopoliticum) è il diritto ad essere accolti in un diverso territorio senza temere discriminazioni — giacché tutti gli individui, in quanto esseri umani, hanno diritto a esercitare una richiesta di ospitalità che può avere motivazioni diverse — ma temporaneamente, perché se così non fosse vi sarebbe bisogno di un altro tipo d’accordo tra l’individuo e lo Stato ospitante. 5

Il Besuchsrecht non è un diritto positivo, ma è un diritto da positivizzare: c’è un dovere morale in capo agli Stati, di farlo rispettare; e nasce per permettere l’accoglienza per le più disparate ragioni: oltreché per validi scopi commerciali, si può anche viaggiare — ad esempio — per motivi turistico-culturali. Ovviamente, però, Kant introduce il Besuchsrecht soprattutto e primariamente per scongiurare la violazione del diritto alla vita nel proprio Paese. Per il filosofo si può andar via se c’è un rischio reale di soccombere quando respinti dai propri Paesi d’origine. È un caso estremo, ma purtroppo storicamente ricorrente.

Nel giustificare il “diritto di visita”, Kant fa appello a un diritto naturale innato, che si può adoperare in virtù del diritto al possesso comunitario della superficie della terra, sulla quale — in quanto sferica — essi non possono disperdersi nell’infinito, ma alla fine devono pur tollerarsi a vicenda, mentre di essere in un luogo della terra nessuno originariamente ha più diritto dell’altro.

Il Besuchsrecht, dunque, discende dalla condizione paritaria degli uomini, che possono tutti in egual modo reclamare di avere un posto nel mondo — non tanto in una prospettiva teologico-cristiana, ma in termini politici: è d’altronde innegabile l’elemento d’appartenenza connaturata dell’uomo alla terra.
Gli uomini devono avere tutti un luogo in cui poter trascorrere la propria vita e soddisfare i propri bisogni di sussistenza naturale. Pertanto, il diritto ad avere un posto nel mondo è incontestabile e permanente, poiché sopravvive al superamento dello status naturalis ed resta esercitabile dagli esseri umani anche nello Stato civile, senza che vi possa essere alcuno strumento giuridico in grado di soprascriverlo o di cancellarlo.

E anzi: la Hospitalität si presenta anche come un diritto che va a intessere una rete di dinamici rapporti interstatuali e sociali, i quali inevitabilmente genereranno una produzione giuridica che vada a normarli. Tutto ciò, però, mostra come servano stimoli efficaci, azioni concrete di natura economico-commerciale, sociale e d’integrazione tra gli Stati. Il diritto cosmopolitico, del resto, altro non permette che la Verkehr, cioè la «circolazione», il «traffico», una interazione ad ampio spettro di individui con uno Stato ospitante.

Una Costituzione cosmopolitica. Ma Kant ambisce a un livello ancora più alto. Egli considera il diritto cosmopolitico (Weltbürgerrecht) non «un modo fantastico e stravagante di rappresentare il diritto, bensì un completamento necessario del codice non scritto tanto del diritto dello Stato quanto di quello internazionale» — quindi alla stregua di un diritto consuetudinario che mira a innestarsi sia al diritto scritto dei singoli Stati che al diritto delle genti, mostrando come anche sia realizzabile (e già in parte avviata) una integrazione a livello giuridico, almeno dal punto di vista della percezione morale.

In questo modo parti remote del mondo possono pacificamente entrare in relazioni reciproche, che da ultimo divengono regolate pubblicamente da leggi [öffentlich gesetzlich], e così possono portare finalmente il genere umano sempre più vicino a una Costituzione cosmopolitica [weltbürgerlichen Verfassung].

Kant menziona in modo esplicito persino l’ipotesi di una Costituzione cosmopolitica — in senso materiale — scaturita proprio dall’interazione che si genera col Besuchsrecht. È come se mirasse a creare un costituzionalismo multilivello congiuntamente con la Costituzione di ciascuno Stato e col diritto internazionale. 6

Cosa può insegnare Kant oggi. È impressionante venire a conoscenza di un pensiero così all’avanguardia già nel diciottesimo secolo, specialmente da un filosofo che — per quanto sia stato definito “imperialista culturale” — è stato erroneamente tacciato di razzismo e di essere un colonialista. L’ambizione kantiana della pace perpetua è senz’altro un obiettivo nobile, ma pressoché impossibile, tanto che si parla di un «processo asintotico», cioè di costante approssimazione, ma mai di completa attuazione.

Ciononostante, non si può dire che Kant non sia riuscito nel suo intento di ridurre la politica con una dimensione più ‘umana’ dell’agire, e questo è sorprendente, quasi in contrasto con gli anacronismi odierni. In un contesto geopolitico difficile, in cui gli sbarchi e le ondate migratorie sono sempre più intense e frequenti, rilanciare il “diritto di visita” — e quindi, ancor più importante, il diritto alla vita e ad avere un posto nel mondo, laddove nella propria terra natale esso sia compromesso — può rivelarsi fondamentale per arginare deviazioni xenofobe o nazionaliste, ed impedire a centinaia di migliaia di persone di veder sfumare dinanzi a sé l’opportunità di godere di un futuro migliore.

Certo, Kant vede nel diritto cosmopolitico anche uno strumento contro potenziali colonizzatori (per via della temporaneità del Besuchsrecht), ma è altrettanto vero che le migrazioni in atto oggi — tanto nel Vecchio quanto nel Nuovo continente — non sono dettate dalla volontà di voler sfruttare i nuovi territori, ma nella stragrande maggioranza per scampare a realtà profondamente imbarbarite e depauperate. Motivo per cui, la retorica suprematista che grida alla “sostituzione etnica” è del tutto fallace, se non ridicola; e inorgoglirsi per aver difeso i confini della propria patria da un pugno di naufraghi è sinonimo di viltà e di vana crudeltà — non è un atto di eroismo.

Una classe dirigente che possa realmente definirsi tale non può sottrarsi ad assurgere anzitutto al ruolo di difesa dei diritti umani. Pertanto, un suo dovere imprescindibile — in nome di una nazione che si considera avanzata — è inequivocabilmente quello di salvare l’esistenza di chi perviene a fatica da realtà drammatiche; e solo in seguito si possono attuare delle misure che proteggano lo Stato e i suoi abitanti da eventuali complicanze che possono sopravvenire.

Per terminare con una nota più contemporanea, universalizzandone il contenuto, sarebbe ottimistico chiosare questa lunga digressione coi versi di un famoso cantante italiano: Prima di essere un vero italiano, cerca di essere umano. 7


  1. Non che tale pensiero fosse del suo tempo – anzi – tra altre correnti, esso era già concepito dagli stoici. Per loro, «la dinamicità elastica del Logos universale […], per natura costringe l’uomo ad estendere l’oikeiosis, l’amore conservatore […], dal suo io alla famiglia […], allo Stato (una massa d’uomini che convivono all’insegna della Legge), a tutta la specie umana – costituita da animali comunitari – ed infine all’intero universo». Perciò, «razionale per l’uomo è sottomettersi alla legge che governa il cosmo, così da divenirne cittadino (cosmopolita)». (Tratto e adattato da L’etica stoica XVI. Cosmopolitismo | Filosofiablog) ↩︎
  2. Claudio Corradetti (1972-) è dal 2016 professore associato di Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. ↩︎
  3. Kant si esprime in tal modo perché prima di lui l’abbé di Saint-Pierre (1658-1743) aveva presentato un Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe fondato sull’idea di un’alleanza tra prìncipi e re (“le menti più illuminate”). Vi sarebbe dovuto essere, cioè, un accordo tra le élite politiche che avrebbero dovuto instaurare una pace tra tutti gli Stati europei cristiani. Senza considerare che v’è il sintomo di una grave limitatezza di vedute: per l’abbé, il mondo musulmano non era integrato sul piano dei rapporti internazionali, e dunque non era neanche concepito come possibile estensione di assetti geopolitici più stabili. Ma a prescindere da ciò, il modello dell’abbé era stato deriso dagli stessi aristocratici e dagli scienziati politici del suo tempo proprio perché considerato irrealizzabile e vano. ↩︎
  4. D’altra parte, con la clausula salvatoria di cui parla nell’introduzione, Kant afferma di non volersi sostituire al potere delle figure politiche propriamente dette: egli rimane comunque un intellettuale
    che dà indicazioni prettamente teoriche. ↩︎
  5. Quindi Kant non è contro ai soggiorni prolungati degli stranieri in un altro Paese, ma crede che si debba giungere a un nuovo tipo d’accordo che ricadrebbe in una fattispecie giuridica diversa — dovrebbe essere un contratto che renda il soggetto parte del corpo costituente dello Stato. ↩︎
  6. Secondo una lettura del prof. Corradetti, lo Stato Universale, che abbraccia tutti i Paesi del mondo, potrebbe essere il punto di riferimento da seguire in nome della pace perpetua. Infatti è sì irrealizzabile, ma tutti gli Stati potrebbero muoversi “come se” ne fossero parte integrante. A tal proposito, già la formazione di un’alleanza più debole ma comunque rilevante può essere il Völkerbund — una lega di popoli — che sia in grado di unire le diverse genti, senza minare l’autorità di ciascuna volontà generale sovrana. ↩︎
  7. Salmo, “90MIN” in Playlist (2018), per Sony Entertainment Music Italy. Scritto da: Maurizio Pisciottu, Theron Feemster. Prodotto da: Neff-U. ↩︎

Gli estratti di Per la pace perpetua sono stati ricavati da: https://it.wikisource.org/wiki/Per_la_pace_perpetua

di Giuseppe Dell'Anna

Studente di Scienze dell'Amministrazione e delle Relazioni Internazionali presso la Seconda Università degli Studi di Roma "Tor Vergata", è appassionato di Storia e geopolitica. Ha compiuto esperienze di formazione e perfezionamento linguistico a Siviglia, Londra, New York, Le Mans (FRA) e Bangkok. La sua ambizione è perseguire con studi di carattere politico-internazionale.

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