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Dalla caduta al fallimento. Elogio del negativo

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Il tema della caduta introduce la storia dell’umanità attraverso il racconto biblico della disobbedienza di Adamo ed Eva, a cui segue la cacciata dall’Eden, momento tragico che mette in moto il negativo come condizione di condanna. Nasciamo condannati al dolore, ma orientati allo sforzo di ricostruire la condizione di pace e felicità originarie. Tutta la storia dell’umanità si proietta alla ricerca di senso e di conoscenza, come strumenti utili alla conquista di spazi di libertà. Il peccato è identificato con la disobbedienza alla divinità, ad un ordine prestabilito che l’uomo è costretto a violare per emanciparsi.

Il tema della caduta è ripreso in modo solenne nel poema epico scritto da John Milton, pubblicato per la prima volta nel 1667. L’opera, composta in versi sciolti, racconta la storia biblica della caduta dell’uomo: la tentazione di Adamo ed Eva da parte di Satana e la loro espulsione dal Giardino dell’Eden.

Il poema si apre con Satana e i suoi angeli caduti già all’inferno, dopo essere stati sconfitti nella ribellione contro Dio. Pregno del suo orgoglio, l’angelo maledetto decide di vendicarsi corrompendo la nuova creazione di Dio: l’uomo. Con la caduta di Adamo ed Eva, il peccato e la morte entrano nel mondo e Dio invia l’arcangelo Michele a scacciare la coppia dal Giardino dell’Eden. Prima di esiliarli, Michele rivela loro il futuro dell’umanità, incluse le sofferenze e la redenzione tramite il sacrificio di Cristo.

Il poema è noto per la sua profondità filosofica e teologica, in cui uno dei passaggi più celebri è quello in cui Satana afferma: “Meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso”, riflettendo il tema dell’orgoglio e della ribellione contro l’autorità divina.

Il “paradiso perduto” è una metafora che incarna una qualsiasi condizione di beatitudine e felicità ormai perdute, spesso causata da un errore, un peccato o un evento traumatico, ovvero da una caduta.
Dalla caduta al fallimento il passo è breve per interpretare lo sforzo da parte dell’uomo di ridisegnare la propria storia e la propria individualità. L’elogio del fallimento, sia in letteratura che in filosofia, si inserisce infatti in una prospettiva poco convenzionale che valorizza il fallimento come esperienza di crescita, comprensione e trasformazione. Lungi dall’essere esclusivamente negativo, il fallimento può essere visto come un elemento essenziale per l’esplorazione del significato della vita, della creatività e dell’esistenza stessa.

In filosofia, il fallimento viene spesso collocato nell’intrinseca condizione esistenziale e si configura anzi, come fonte di apprendimento. Uno dei più celebri filosofi moderni che ha anticipato gran parte delle categorie interpretative dell’epoca contemporanea, ovvero Friedrich Nietzsche, con il suo concetto di “amor fati” (amore del destino) invita ad abbracciare la vita, con tutte le vittorie e sconfitte che ne conseguono, dove la caduta e il fallimento non sono momenti di debolezza, ma fasi necessarie per rafforzare l’individuo. Attraverso la sconfitta, si giunge alla creazione del “superuomo”, un individuo capace di trascendere le limitazioni imposte dalla moralità convenzionale e dalla cultura, per erigere un nuovo ordine umano, troppo umano, quindi umanamente autentico.

Jean-Paul Sartre, filosofo esistenzialista, celebra il fallimento della libertà, considerando il fallimento come parte integrante della condizione umana, in cui l’essere umano è condannato a essere libero, costretto ad affrontare costantemente la possibilità di scegliere, ma con la consapevolezza che ogni scelta potrebbe portare al fallimento. Tuttavia, il fallimento non è definitivo, ma diventa un elemento chiave del processo di auto-definizione e di creazione dell’essenza personale. La possibilità di scegliere implica il peso delle conseguenze che possono derivare dalle scelta stessa.

Anche la letteratura affronta in maniera significativa il fallimento, celebrandolo come esperienza cruciale nella narrazione, perché porta alla crescita e alla trasformazione dei personaggi.

Samuel Beckett, una delle voci più importanti del modernismo e del teatro dell’assurdo, ha scritto: “Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better.” In queste poche parole, Beckett celebra il fallimento come parte della condizione umana. Le sue opere, come Aspettando Godot, mettono in scena personaggi che affrontano fallimenti continui e ciclici, ma che trovano nella ripetizione e nell’accettazione del fallimento una forma di significato e resistenza. Fallire ancora, fallire meglio.

In romanzi come “Il Processo” o “Il Castello” pilastri della letteratura tormentata di Kafka, i protagonisti si trovano di fronte a un sistema burocratico e inaccessibile che li condanna all’incomprensione e alla sconfitta, ma è proprio questa sensazione di impotenza che rende Kafka un simbolo dell’uomo moderno, dove il fallimento di comprendere e di essere compresi diventa il tratto distintivo della sua narrativa, che esprime l’alienazione dell’essere umano di fronte a un mondo incomprensibile.

La perla letterario-filosofica ce la regala “La caduta” di Albert Camus, opera pubblicata nel 1956, un romanzo filosofico scritto sotto forma di un lungo monologo interiore. Il protagonista, Jean-Baptiste Clamence, un ex avvocato parigino di successo, narra la sua storia e le sue riflessioni a uno sconosciuto interlocutore in un bar di Amsterdam. Il libro esplora tematiche esistenzialiste, quali il senso di colpa, la condizione umana, l’ipocrisia, il giudizio e la responsabilità personale. Attraverso la confessione di Clamence, Camus mette in discussione l’autenticità morale dell’individuo e la sua relazione con la società, tanto da indurre il protagonista ad autodefinirsi come un “giudice-penitente”, che giudica gli altri per non affrontare il proprio fallimento morale. Il titolo stesso richiama simbolicamente la caduta morale e spirituale dell’essere umano, evidenziando come tutti siamo colpevoli e complici in un sistema di ipocrisia sociale. Camus utilizza Amsterdam, con i suoi canali circolari, come una metafora dell’inferno dantesco, creando un’atmosfera opprimente e labirintica, in cui il personaggio di Clamence, riflette sulle ambiguità dell’animo umano, mostrando come la libertà e l’autodeterminazione possano essere limitate dal nostro egocentrismo e dalla paura di affrontare la verità su noi stessi.
“La caduta” è uno dei lavori più complessi e introspettivi di Camus, che ci accompagna nella direzione di una riflessione sul significato della vita e sulla fragilità delle certezze umane.

Se la legge della realtà e del pensiero è dialettica, il negativo, come secondo momento, come antitesi rispetto alla tesi iniziale, è per Hegel, un gigante della filosofia, il momento più significativo.
Il negativo “mette in moto” qualcosa e ci accompagna, se pur con sforzo e dolore, verso il cambiamento, il quale è sempre momento e motivo di crescita.

Attraverso la caduta e il fallimento noi sperimentiamo la messa in discussione di un ordine che probabilmente non ci appartiene, che stringe e soffoca la spinta vitale, la quale per realizzarsi ha bisogno di rotture, di imperfezione e di Streben (sforzo).

L’essenza della Storia è divenire, per divenire dobbiamo diventare, ovvero decomporre e ricostruire, quindi cadere e fallire per dare nuova forma alle cose.

di Annachiara Borsci

Annachiara Borsci è docente di Filosofia e Storia al Liceo "Moscati" di Grottaglie (TA). Dopo la Laurea in Filosofia, conseguita all'Unisalento di Lecce nel 2004, ha proseguito gli studi conseguendo nel 2009 il Dottorato di ricerca in discipline storico- filosofiche presso la stessa Università di Lecce sul pensiero di Hannah Arendt dal titolo "Il problema del male e la rifondazione della politica".

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