Mar. Ott 22nd, 2024

Il mito della bolla di filtraggio e il social sorting

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Nel 2022 quasi la metà degli americani si aspettava una guerra civile entro pochi anni. Adesso quasi uno su cinque giustifica la violenza politica. Ed è così non solo negli USA ma anche nel resto del mondo. Sempre più spesso le persone sentono di appartenere a squadre rivali. Le motivazioni sono molteplici, ma una viene additata più di frequente: i social media.

Anche se è negativo pensarlo, i social media come qualsiasi cosa, hanno dei pro e dei contro: fra i contro si possono riscontrare la divisione, l’isolamento, la resa più estremista e meno empatica del nostro essere e ansia. Possono anche trascinarci in un vortice di brutte notizie, rendendoci stressati, nervosi e depressi.
Una nuova ricerca dice che potremmo aver mal interpretato questo sentimento. Rivela che internet e i social media potrebbero alterare il funzionamento dei nostri cervelli, ma non in senso estremamente letterale o degenerativo come molti penserebbero. Entra qui in gioco il “mito della bolla di filtraggio”.

Potremmo aver già sentito nominare le bolle di filtraggio: algoritmi che rispecchiano le nostre preferenze, o ciò che interpretiamo come tali. Ricevere solo informazioni che rafforzano le nostre opinioni, mentre le opinioni o le informazioni discordanti vengono filtrate e allontanante da noi. Essere esposti solo a contenuti vicini alla vostra visione del mondo rende meno estremiste le opinioni più tossiche ed estremiste. Siete intrappolati in una bolla di filtraggio radicalizzante che rende la vostra visione del mondo più ristretta ed estremista.
Ma è davvero così?

Le bolle di filtraggio estremiste sembrano in realtà piuttosto rare. Gli studi che hanno analizzato “cosa cercano realmente le persone online” o “cosa mostrano i motori di ricerca”, hanno trovato pochi riscontri di un nostro isolamento ideologico. È esattamente l’opposto: online ci confrontiamo costantemente con opinioni e visioni del mondo diverse dalle nostre. In effetti, il contesto in cui siamo più ideologicamente isolati è proprio la vita reale, nel mondo reale, con persone reali. Le interazioni nel mondo reale con amici, familiari, colleghi e vicini di casa sono meno variegate rispetto alla vostra bolla online. La bolla di filtraggio esiste pertanto nella vita reale, non online.

Qui però arriva uno pseudo paradosso: le bolle di filtraggio sono state la spiegazione principale dell’aumento dell’odio reciproco negli ultimi due decenni, eppure abbiamo appena appurato come sia la vita reale l’ambiente in cui siamo più isolati nelle nostre idee, convenendo che internet sia una piattaforma che potenzialmente amplia la nostra mente e le nostre opinioni. Come si spiega?

Sfortunatamente il nostro cervello è stupido. Spieghiamo cosa si intende: l’evoluzione del cervello umano non mira a comprendere la vera natura della realtà nel suo essere più profondo, ma ad esplorare e conservare le strutture sociali. I nostri antenati dipendevano l’uno dall’altro per sopravvivere, e quindi i nostri cervelli hanno fatto in modo che cooperassimo gli uni con gli altri. Per questo l’isolamento o l’esclusione sociale ci appaiono così terribili: le tribù collaborative sopravvivevano. Quelle divise morivano.

Per migliaia di anni le comunità hanno funzionato proprio in questa maniera. Essere fisicamente vicini ci ha fatto conoscere e ha creato affinità che compensano pensieri e filosofie differenti, così da non ucciderci a vicenda. Ma soprattutto, le nostre visioni del mondo non erano poi così diverse l’una dall’altra, in quanto forgiate dalla stessa cultura locale. Con il passaggio dell’umanità dalle piccole tribù ai paesi e alle città, dai capitribù, ai regni e alle nazioni, i nostri cervelli e le nostre comunità hanno dovuto adattarsi a vicini sempre più eterogenei. Abbiamo iniziato a incontrarci nelle piazze o nelle università discutendo e urlandoci contro, ma in un’ottica generale, le comunità erano ancora relativamente isolate, ci assomigliavamo ed eravamo in sintonia con le persone attorno a noi. I conflitti e i disaccordi non sono negativi di per sé. Come attesta la storia, le discussioni su come vivere possono generare cose nuove e meravigliose. Valori, norme e tabù sono in continua evoluzione e ciò che oggi riteniamo normale, non lo sarà in futuro. Serve però un collante sociale che tenga unite le nostre società, perché ai nostri cervelli non interessa il metalivello dell’umanità, bensì di essere al sicuro in una tribù.

Ad un tratto, circa 20 anni fa, abbiamo fatto qualcosa di inedito che ha travolto i nostri cervelli come un treno: i social media su internet, la piazza cittadina digitale. In poche parole, i nostri cervelli non sono in grado di processare la quantità di disaccordo che incontriamo nei social. I meccanismi che hanno permesso ai nostri antenati di cooperare sono deragliati in modi che non avevamo previsto. Che lo si voglia o meno, il nostro cervello divide le persone in squadre in base alle loro opinioni. Non è semplice tribalismo: si va oltre. I ricercatori hanno chiamato questo processo “social sorting“. Nella piazza digitale incontriamo persone che esprimono opinioni o condividono informazioni lontane dalla nostra visione del mondo. Con l’unica differenza che noi e il nostro vicino non “tifiamo la stessa squadra”.

Manca il collante sociale che serve al cervello per entrare in sintonia. Per il nostro cervello, il disaccordo reciproco diventa una parte centrale dell’identità altrui. Di conseguenza, chi la pensa come noi è una brava persona (perché noi siamo brave persone), e il nostro cervello è più incline a credere alle loro opinioni, mentre se qualcuno parlerà male di qualcosa che a noi invece piace, il nostro cervello sarà più incline a ignorare le accuse e a catalogarle come “altra squadra” di pensiero, diversa dalla nostra.

Tornando quindi ai social, questi sono guidati dall’engagement e tendono a peggiorare le cose, perché il loro obiettivo è non farci disconnettere. E, sfortunatamente, l’emozione più adatta allo scopo è la rabbia. La rabbia favorisce interazioni e condivisioni, spesso molto negative, e questo porta i social media ad amplificare le opinioni più estremiste e controverse. Sono ottimizzati non solo per mostrarci il disaccordo, ma il peggior disaccordo possibile. E dato che quello “stupido” cervello divide le persone in squadre, qualunque sia l’opinione peggiore, questa verrà associata a tutti i componenti “dell’altra squadra”, con gli attributi più nefasti possibili. Ciò che sorprende della polarizzazione online descritta sinora è che gli aspetti della vita che ci definiscono come individui vengono condensati e resi parte di identità apparentemente opposte e mutualmente esclusive.

In conclusione, si può davvero fare qualcosa?
In definitiva, è importante essere consapevoli dell’effetto dei social media sul nostro cervello. È più facile cambiare noi stessi che il mondo, così da capire perché crediamo in determinate cose e se supportare o ignorare certe informazioni in base alla persona che le sta comunicando. L’evoluzione è troppo lenta, e quindi abbiamo bisogno di modelli che si adattino ai nostri cervelli. Un modello valido potrebbe essere l’internet pre-social media che qualcuno potrebbe ricordare (blog, pagine e piccoli video). Quindi, invece di radunarci in un unico luogo, di sovraccaricare i nostri cervelli in una piazza che ci farà impazzire, una soluzione per diminuire il social sorting potrebbe essere semplicissima: tornare a comunità online più piccole. Questo non solo risolverebbe la dilagante moda di deridere o insultare la cosiddetta “altra squadra” (in riferimento a come accade molto spesso in testate giornalistiche americane), ma lascerebbe più spazio ai fruitori della piazza digitale di discutere di macro argomenti, senza rischiare però un linciaggio o un’alta esposizione a decine di migliaia di contenuti ogni secondo.

di Mattia Carlucci

Sono uno studente di Storia dell'Arte di Lecce, con laurea al DAMS e ho la grande passione per le civiltà antiche. Scrivo articoli per Metasud su diverse storie mitologiche, aneddoti storici ed interviste a giovani ragazzi del Sud. Gestisco anche un canale Youtube chiamato "La Landa del Sole" dove parlo di giochi di ruolo e mondi fantasy. Credo fermamente nel progetto editoriale e spero che il mio amore per la scrittura sia un valido alleato alla causa.

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