Abbiamo lasciato gli Stati Uniti con l’ondata incipiente di una teoria ambientalista, quella della conservazione ambientale, che cercava di coniugare l’utilizzo della scienza forestale con la tutela dell’ambiente. Verso la fine del secolo XIX essa si spinse sin sulle vette imbiancate della Sierra Nevada, in California. L’avanzata del nuovo stato era proseguita voracemente verso Ovest e si era lasciata alle spalle la devastazione di grandi luoghi selvaggi prima d’allora incontaminati (il cosiddetto wilderness).
L’allarme sociale e l’attenzione di un folto gruppo di intellettuali diede vita il 28 maggio 1892 al Sierra Club, decisamente l’organizzazione ambientalista più importante della storia statunitense. Figurava tra questi John Miur, intellettuale della cui autorevolezza non è lecito dubitare. Allevato in Scozia si mosse per il Canada e il Messico abbandonando gli studi universitari e trovando spesso nei luoghi incontaminati un rifugio dalla modernità urbana. Guadagnò presto un posto privilegiato nell’olimpo dei primi ambientalisti, tanto quanto uno dei suoi successori, Aldo Leopold, di cui ci occuperemo a breve.
Giunti a questo punto della nostra storia dei libri che hanno segnato l’ambientalismo, occuparsi di John Miur, di Aldo Leopold e del Sierra Club diventa un imperativo non disattendibile. Proprio in questi tre passaggi ritroviamo i primordi di ciò che in seguito fu conosciuta come deep ecology. Sulla scorta di una trasvalutazione etica del wilderness l’uomo assumeva nell’ambiente un ruolo di pari importanza rispetto a quello ricoperto da piante, animali e fenomeni naturali.
JOHN MIUR E LA NASCITA DEL SIERRA CLUB – Di John Muir, più che della sua vita tribolata, dell’abbandono degli studi, della cecità temporanea e dell’innamoramento per il Yosemite, vorremmo occuparci di un articolo comparso nel luglio 1897 sulla rivista Atlantic Monthly, intitolato “The American Forests“. Leggendolo ci si immerge a pieno in una prosa romantica, travolgente e impegnata. Le prime righe sono un’ode alla bellezza primordiale delle foreste americane delle origini, all’epoca devastate dall’avanzamento dei coloni. Erano stati abbattuti milioni di alberi e vaste aree erano rimaste desolate. Il valore letterario dell’articolo si manifesta con una certa vividezza nella descrizione degli scenari di devastazione:
Con nessun occhio per il futuro, questi pii distruttori hanno combattuto guerre interminabili contro le foreste; schegge volavano fitte e veloci, alberi nella loro bellezza cadevano a milioni (…) e il fumo della loro combustione è salito al cielo per più di 200 anni.
Il saggio di Muir è una critica caustica all’incapacità di praticare una reale conservazione ambientale negli Stati Uniti. Tuttavia, con alcune venature romantiche molto vicine all’ambientalismo britannico delle origini, sottolinea l’invincibilità della natura e la pericolosità dell’uomo:
Qualsiasi sciocco può distruggere gli alberi. Non possono scappare; e se potessero, verrebbero comunque distrutti, inseguiti e braccati finché si potesse ricavare divertimento o un dollaro dalle loro pelli di corteccia, dalle loro corna ramificate o dalle loro magnifiche spine dorsali”.
L’obiettivo della conservazione delle risorse naturali era stato invero già portato avanti da Muir con due azioni concrete: la costituzione del Parco nazionale del Yosemite (1890) e la costituzione del Sierra Club (1892). Le montagne della Sierra Nevada rientravano a pieno in quella natura selvaggia da proteggere, e l’incontro con il Yosemite gli aveva aperto gli occhi su questa necessità.
ALDO LEOPOLD E I DIARI – Figlio di cacciatore e profondo studioso della silvicoltura, Aldo Leopold lavorò per lungo tempo nel Servizio forestale degli Stati Uniti, venendo destinato alle aree territoriali dell’Arizona e del New Mexico. Il 3 giugno 1924 contribuì in misura notevole alla fondazione della Gila Wilderness Area, la prima area selvaggia designata ufficialmente negli Stati Uniti. Taluni sostengono che questo sia stato un momento epocale per la preservazione della natura selvaggia: per la prima volta nella storia si dava concretezza all’idea che vi fossero delle aree in cui l’uomo era ospite temporaneo. E difatti lo fu.
Scrisse molto, ma gli scritti più importanti per quanto ci riguarda sono due saggi pubblicati postumi: “A Sand County Almanac” (1949) e “Round River” (1953). Qui troviamo l’attenzione per le stagioni e per la condizione della natura propria di Leopold, la gestione delle risorse naturali e la dimensione etica del rapporto con la natura. Centrale nelle sue riflessioni è proprio il concetto di etica della terra: gli esseri umani non sono superiori a suolo, acqua, animali e vegetali, perciò i valori di rispetto umano devono estendersi anche alla biocenosi e all’intero sistema naturale. Quasi si potrebbe riassumere tutto in queste sue eloquenti parole:
A thing is right when it tends to preserve the integrity, stability, and beauty of the biotic community. It is wrong when it tends otherwise.
A loro fece seguito una scuola di pensiero squisitamente moderna e razionalista, fatta di conservazione della terra e scienza forestale. I postulati culturali e ideologici non potevano qui essere ritrovati in un solo stato: l’ambiente s’era fatto ormai questione sovrannazionale. E così fu la volta dei von Humboldt e dei Perkins Marsh: scienziati e razionalisti pronti a coniugare tutela dell’ambiente e progresso. Corrente potentissima, questa, che poi propagò i suoi effetti sino agli Stati Uniti d’America. D’altronde, eredi degni e legittimi di Marsh e von Humboldt non potevano che essere Muir e Leopold: con loro le strategie pratiche di opposizione alla devastazione ambientale cominciarono ad assumere un vivido pragmatismo.
LA FINE DELLA PRIMA ONDATA AMBIENTALISTA – Con questi due intellettuali militanti si chiude la prima ondata dell’ambientalismo. Durata oltre un secolo e trasmigrata con audacia oltre i confini nazionali, la radice prima dell’ambientalismo trovò la sua scaturigine tra i miasmi e i lezzi dell’industrialismo anglosassone. Lì gli occhi sensibili e romantici dei Wordsworth, dei Clare, dei Ruskin e dei Carpenter somatizzarono le prime deturpazioni del paesaggio, riversandole poi in fiumi d’inchiostro sofferente e nostalgico. Era il periodo della volontà di fermarsi e di tornare indietro, di “ritornare alla terra”.
Ci fu, a conclusione di tutto, la Grande Guerra, la cui devastazione non può non intendersi anche in senso ambientale. Ricominciarono a parlare di ambientalismo in Europa solo a partire dal primo dopoguerra. Sotto la scure del militarismo interi paesaggi e territori furono distrutti, e la preservazione ambientale assunse un’importanza minore, secondaria: bisognava lì preservare prima l’uomo. Elementi che oggi – come vedremo in seguito – non sono più radicalmente scissi.