Gio. Set 12th, 2024

Autonomia differenziata: intervista all’Onorevole PD Anthony Emanuele Barbagallo

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Qual è il suo commento a caldo a proposito del grande successo della campagna per l’indizione del referendum abrogativo della legge Calderoli?
Le 500 mila firme sono state già abbondantemente superate. C’è stata una risposta forte e aspra del Paese rispetto a un provvedimento iniquo e sbagliato del governo. Si tratta di una risposta che non viene soltanto dal Mezzogiorno ma anche da tante zone del Nord Italia che hanno preso parte attivamente alla campagna referendaria. Stiamo parlando di una legge sbagliata che aumenta sempre di più le diseguaglianze nel nostro Paese. Viviamo in un tempo in cui il compito del governo dovrebbe essere quello di lenire le diseguaglianze, e invece stiamo assistendo a questo insopportabile attacco alla parte più debole del Paese.

In base alla legge Calderoli, le Regioni potranno stipulare delle intese con lo Stato per ottenere maggiore autonomia nella gestione delle cosiddette 23 materie. Quali sono le materie più problematiche che destano maggiore preoccupazione?
La materia che desta più preoccupazione è sicuramente la sanità. Viviamo in un tempo in cui nei territori non riescono ad arrivare risorse, quando invece c’è l’esigenza di garantire un’omogeneità di trattamento in tutto il Paese. La sanità è un diritto sancito dalla Costituzione, quindi il compito del governo è quello di garantirlo a tutti i cittadini, indistintamente in tutte le zone del Paese.
La legge Calderoli è una risposta sbagliata, soprattutto dopo il Covid-19, perché è chiaro che la pandemia ci ha lasciato delle ferite profonde. Durante la pandemia, i pazienti hanno potuto contare unicamente sul proprio medico di famiglia che è stato in grado di raggiungere tutte le valli delle zone montuose o le aree interne alla Sicilia per curare i malati. Al contrario, i grandi ospedali in città erano praticamente al collasso, non tutti riuscivano ad arrivarci e si sono rivelati inefficienti.
E poi certamente c’è un vulnus importante che riguarda la scuola pubblica. Già alcuni interventi del passato che hanno regionalizzato la scuola non hanno dato risultati efficaci. Il diritto all’istruzione in questo momento è sotto attacco se consideriamo che in alcune zone del Paese la dispersione scolastica supera abbondantemente il 20%. Allora serve una risposta di omogeneità e servono risorse.
E poi c’è il tema dei trasporti. Regionalizzare e dare autonomia ai trasporti genera forti disparità nel territorio, e lo stiamo vedendo in queste settimane con il disastro che c’è a causa di ritardi continui e di concessionari di pubblico servizio che non sono per nulla adeguati.
Queste sono le materie che preoccupano non solo noi ma anche la gente. C’è una particolare attenzione e sensibilità da parte di molti rispetto a queste materie, e lo abbiamo potuto riscontrare personalmente durante i banchetti per la raccolta delle firme.

A proposito dei trasporti, dato che lei è capogruppo PD in commissione trasporti alla Camera e i trasporti costituiscono una materia LEP, secondo lei i LEP possono dirsi sufficiente per garantire la stessa qualità dei servizi e delle prestazioni in tutto il territorio nazionale?
La formula dei LEP è stata congeniata al solo fine di prendere tempo. In realtà, non hanno nessuna voglia di garantire questi livelli essenziali delle prestazioni, si tratta di una mera formula di rito che hanno trovato, un compromesso d’aula.
C’è un disegno preciso che risale al 1994 e si sta concretizzando adesso, dopo 30 anni. Il progetto politico è quello di rafforzare l’autonomia per dare più forza a certe Regioni, in particolare alla Lombardia, al Veneto ed Emilia-Romagna, e impoverirne.

La Legge Calderoli è collegata alla legge di bilancio. Dal momento che non è possibile indire un referendum abrogativo delle leggi tributarie, secondo lei tale manovra politica può mettere seriamente a repentaglio le firme raccolte e che il quesito referendario venga ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale?
Noi siamo fiduciosi, riteniamo che il referendum verrà pacificamente ammesso.

In diversi comunicati ha fatto cenno a un’Italia a due velocità, nella quale il divario tra Nord e Sud si avverte già tanto. Quali sono le proposte del PD nel tentativo di ricucire queste disparità?
L’intento è quello di incrementare il fondo di perequazione infrastrutturale e garantire risorse certe per la decontribuzione al Sud. Questo governo, purtroppo, è un pasticcio colossale perché ha interrotto il percorso che avevamo avviato. Le risorse imprenditoriali che avevamo stanziato garantivano risorse certe in determinate aree del Paese, invece il governo sembra ignorare totalmente le disparità di vantaggio presenti nel nostro territorio.
Un altro intervento importante da noi promosso è il fondo insularità. Le due grandi Regioni insulari oggi valgono quasi 7 milioni di abitanti, e tra queste isole e l’altra parte del Paese c’è un divario sempre più crescente. Abbiamo ottenuto l’inserimento dell’insularità in Costituzione e ora dobbiamo comportarci di conseguenza e fare in modo che non resti un riconoscimento apparente e formale.

Il regionalismo differenziato è previsto dalla Costituzione. Lei crede che esista un modo per conciliare le aspirazioni di autonomia di alcune Regioni con le garanzie irrinunciabili di solidarietà nazionale?

La nostra Costituzione è chiara, l’art. 5 recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. Questa è la cornice in cui deve svilupparsi il dibattito sull’autonomia.
L’esempio di una materia che è stata sempre gestita in autonomia è quella del turismo. Ci sono Regioni che hanno gestito autonomamente il sistema turistico e di accoglienza in modo eccellente. Quindi, ci sono delle materie su cui il regionalismo funziona e altre, come quelle che ho enunciato prima (sanità, trasporti, telecomunicazioni e pubblica istruzione e infrastrutture prioritarie), nelle quali non funziona affatto e diventa prioritario garantire la solidarietà e coesione nella equa distribuzione dei servizi e delle prestazioni a livello nazionale.


di Maria Lucia Tocci

Studiosa del diritto. Attivista per la pace e per i diritti civili.

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