Gio. Set 12th, 2024

L’ambientalismo scientifico nella “conservazione ambientale”

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Nella congerie culturale e politica dell’Ottocento, e sulla spinta britannica del primo ambientalismo romantico, ebbe modo di germogliare negli Stati Uniti una dottrina ambientalista di marcata ispirazione scientifica. Intimamente distante, e nei metodi e nei contenuti, dal “ritorno alla terra”, la corrente della “conservazione ambientale” intendeva compiere una sintesi tra produttivismo industriale e ambientalismo romantico. Le conoscenze scientifiche dovevano essere impiegate per limitare i danni ambientali pur preservando il progresso industriale, e la tecnica, ancora percepita come uno strumento neutro nelle mani dell’uomo, doveva essere impiegata per difendere la natura.

VON HUMBOLDT, LA NATURA COME ORGANISMO VIVENTE – I prodromi culturali di una teoria di tal guisa furono gli approfondimenti sulla deforestazione dello studioso Alexander von Humboldt, raccolti in Personal Narrative of Travels to the Equinoctial Regions of the New Continent During the Years 1799–1804. Ecclettico speculatore e intellettuale dalla conoscenza enciclopedica, von Humboldt forgiò la sua tempra di ambientalista attraverso la conoscenza di personalità di spicco dell’epoca, oltreché per via di lunghissimi viaggi a contatto con la natura in Sud America. Negli anni della formazione incontrò Johann Wolfgang von Goethe, maître à penser di rarissima fattura letteraria e polo magnetico dell’intellighenzia europea, e per mezzo di questi anche Friedrich Schelling, la cui Naturphilosophie iniziava a figurare la natura alla stregua di un organismo vivente.

Le osservazioni di von Humboldt sulla deforestazione rimangono ancora oggi non eguagliate quanto a lungimiranza e acume. Sulla spinta di una corrente di pensiero che smetteva di concepire i singoli cambiamenti dell’ambiente alla stregua di fenomeni isolati tra loro, aveva compreso che la deforestazione, il disseccamento delle sorgenti e l’imperversare di torrenti di origine piovana erano strettamente legati tra loro. Nel 1819 scriveva:

Abbattendo a tutte le latitudini gli alberi che coprono le cime e i fianchi delle montagne, gli uomini tramandano alle generazioni future due calamità in un colpo solo: la mancanza di combustibile e la carenza d’acqua. Una volta distrutte le foreste, come è successo in America a causa delle coltivazioni degli europei, le sorgenti si prosciugano completamente con rapidità sconcertante, oppure si riducono. Rimanendo secchi per gran parte dell’anno, i letti dei fiumi si trasformano in torrenti quando a monte cade una forte pioggia. (…) Dovunque è ormai chiaro che la distruzione delle foreste, la mancanza di sorgenti permanenti e la presenza di torrenti sono tre elementi strettamente connessi.

Tali effetti abborrivano i conservazionisti e si presentavano come disastri non ignorabili. Costoro si risolsero a proporre una gestione pubblica delle foreste e una quantificazione delle risorse annuali consumabili (legno, acqua, pesci, fauna selvatica, eccetera). La razionalità animava di sé il loro programma ambientale, mentre il metodo scientifico diventava l’unico naturale approdo per scandagliare gli effetti devastanti della crescita del potere dell’uomo sulla natura.

GEORGE PERKINS MARSH, IL RAPPORTO TRA UOMO E NATURA – Qualche anno più tardi, precisamente nel 1864, i tipi di Charles Scribners diedero alle stampe Man and Nature: Or Physical Geography as Modified by Human Action di George Perkins Marsh, saggio destinato a generare la prima ondata ambientalista negli Stati Uniti. Dal principio considerata un’opera di mediocre valore persino dallo stesso autore, al punto che fu proprio lui a venderne anzitempo i diritti, ebbe invece la capacità di coinvolgere ampie fasce delle popolazione statunitense nella denuncia sullo stato della natura, proponendo un nuovo approccio alla questione ambientale.
Sin dalla prefazione l’intento di Marsh è chiaro:

(…) mostrare i pericoli che può produrre l’imprudenza, e la necessità di precauzione in tutte quelle opere che, in grandi proporzioni, s’interpongono nelle disposizioni spontanee del mondo organico od inorganico; suggerire la possibilità e l’importanza del ristabilimento delle armonie perturbate, e il miglioramento materiale di regioni rovinate ed esaurite; e illustrare incidentalmente il principio che l’uomo è, tanto nel genere quanto nel grado, una potenza di un ordine più elevato che non sia qualunque altra forma di vita animata che al pari di lui si nutre alla mensa della generosa natura.

Uomo e natura, elementi che acquisiscono pari dignità etica all’interno dell’organismo naturale, interagiscono su un piano di forte diseguaglianza, tanto che il primo esercita sulla seconda una pervasiva trasformazione. Marsh riflette sull’agire umano, sostenendo che «l’uomo ha reagito sulla natura organica ed inorganica, e in conseguenza ha modificato, se non ordinato, la struttura materiale della sua dimora terrestre».
Sovente l’uomo s’improvvisa demiurgo e ordinatore della natura, tentando di gerarchizzarne gli elementi. Proprio a tal riguardo ci si imbatte nell’epilogo in parole illuminate:

È una massima legale, che la legge non si cura delle cose minime: de minimis non curat lex; ma nel vocabolario della natura, il piccolo e il grande non sono che termini comparativi; essa non conosce nulla di minimo o di insignificante, e le sue leggi sono inflessibili tanto se si tratta di un atomo, quanto di un continente o di un pianeta. (…) Ma la nostra impotenza ad assegnare un valore definito a queste cause perturbatrici delle disposizioni naturali non è una ragione per ignorare l’esistenza di cosiffatte cause in qualunque considerazione generale dei rapporti fra l’uomo e la natura, e noi non abbiamo mai ragione quando asseriamo che una forza è insignificante perché non ne possiamo accertare la misura, o anche perché nessun effetto fisico può ora essere indicato come originato da essa.

I MOVIMENTI NELLA SOCIETA’ CIVILE – In molte aree del pianeta si faceva strada un’idea di rendimento sostenibile che abbracciava in maniera razionale e scientifica allo sviluppo economico, tentando di trovare azioni pratiche per la preservazione dell’ambiente. A tale razionalismo ambientalista, se così ci è concesso di denominarlo, diede un contributo considerevole Man and Nature.

Nel 1859 il governo coloniale del Sud Africa varò il Forest and Herbiage Protection Act, attraverso cui requisiva tutte le praterie e le foreste ritenute in pericolo. Nel 1864, nell’India britannica, fu istituito l’Indian Forest Department, la cui guida fu affidata a Dietrich Brandis, un botanico tedesco che aveva fatto da corrispondente a Marsh. Qualche anno più tardi, in Indonesia, il governatore olandese di Java costituì un comitato per la creazione di una legislazione forestale. Mentre, intorno agli anni Settanta, nell’Australia vittoriana fu nominata la Royal Forestry Commission; e pochi anni dopo ancora, nel South Australia fu approvato il Forest Tree Act. L’acme fu raggiunta dall’American Association for the Advancement of Science, attraverso la presentazione di una petizione al Congresso americano per la creazione di un sistema nazionale di selvicoltura e di riserve forestali.

A ragion veduta, Ramachandra Guha afferma che «sebbene fossero separati da migliaia di chilometri, Man and Nature e l’Indian Forest Department [così come tutti gli altri interventi menzionati sopra] vanno considerati come parti del medesimo processo storico». Infatti, la proliferazione delle scienze forestali in quel frangente storico trovò la sua scaturigine, più che in una sorta di “effetto Marsh”, in una presa di coscienza collettiva. L’opera di Marsh interpretò tuttavia lo spirito del suo tempo, pur non essendo la causa primigenia della corrente ambientalista che oggi poniamo sotto l’insegna di “conservazione ambientale”.

OLTRE IL TERRITORIO NAZIONALE – L’imbarbarimento del capitalismo industriale spalancava gli occhi a larga parte degli intellettuali americani. E sebbene larga parte della popolazione continuasse ad ignorarne gli effetti, vuoi per la mancanza di strumenti culturali, vuoi perché ancora distanti da esempi di grande industrializzazione, il problema ambientale si manifestava oramai come il cosiddetto elephant in the room.
Pregne di significato, a tal riguardo, furono le parole di Gifford Pinchot:

la conservazione è l’uso saggio e lungimirante di tutte le cose, naturali, artificiali e spirituali che l’uomo desidera su questa terra (…). La conservazione è estesa quanto la terra stessa, tanto onnicomprensiva quanto la necessità e gli interessi dell’umanità. È una questione troppo grande, perciò, per essere inclusa entro i confini di ogni singolo dipartimento governativo. È il retroterra, lo spirito e la forza del movimento progressista nella vita pubblica americana. È uno sguardo lungimirante.

L’Ottocento segna in maniera irreversibile la storia dell’ambiente e l’interpretazione che di essa s’incomincia a dare. Lungi oramai dal rappresentare un mero problema territoriale, e parimenti lontano dal romanticismo della prima ora, la questione ambientale acquisisce con il conservazionismo i connotati di un dramma transnazionale.

Per approfondire:
L’ambientalismo nell’era della tecnica;
Il romanticismo naturalista nel ritorno alla terra“.

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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