Gio. Set 19th, 2024

La “cortina di ferro”: una divisione implacabile

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La “cortina di ferro”, così la definì Churchill nel suo celebre discorso del 1946, scese inclemente su un’Europa troppo occupata a leccarsi le ferite per rendersi conto del pericolo immane che aveva alle sue spalle. Per tutti sembrava quasi scontato che la fine della guerra che aveva dilaniato il mondo avrebbe sancito un periodo di pace e ricostruzione completa. Ingenuamente si era pensato che URSS e USA, due colossi diametralmente contrapposti, avrebbero convissuto tranquillamente nel nuovo panorama geopolitico, come due fratelli che, seppur diversi, riescono a scendere a compromessi.

La realtà apparve fin da subito ben diversa: la forza donata dal nemico comune, che era riuscita ad appianare le differenze per una necessità più nobile, scomparì con la caduta del nazismo e dei totalitarismi. Riemerse, dunque, in tutta la sua potenza la differenza economica, politica e culturale dei due Paesi e trovò terreno fertile per esplicarsi nella suddivisione di Berlino, emblema del nemico sconfitto, in 4 parti sotto l’influenza rispettivamente di America, Gran Bretagna, Francia e URSS. Le prime tre poco dopo unirono i territori conquistati in un unico blocco, Berlino ovest, di stampo capitalista e occidentale, mentre Berlino est rimase comunista e legato alla cultura russa.

Nonostante ciò, il clima rimase piuttosto disteso, fino a quando i russi, in un mirabile tentativo di sottrarre i territori ai nemici occidentali, imposero una sorta di embargo con lo scopo di impedire l’arrivo di rifornimenti e viveri, provocando l’abbandono di quei territori da parte degli occupanti. Gli americani, però, organizzarono una sorta di rifornimento via aerea e, dopo 12 mesi, il blocco fu rimosso.

Arriviamo ora all’evento che è il più simbolico del conflitto ideologico delle due realtà. Nel 1961 venne costruito l’imponente ed emblematico muro che, oltre a separare fisicamente le due parti della città di Berlino, nel tempo simboleggerà la forte incompatibilità fra il mondo russo e quello americano.

Prima, però, vi furono numerosi “aggiustamenti” nel quadro del conflitto: con la nascita della NATO l’America si assicurò un aiuto militare importante, riuscendo a subordinare alla sua potenza egemonica gran parte dei Paesi europei. Di tutta risposta, con il patto di Varsavia del 1955, anche i russi stipularono una politica di alleanze militari che assicurarono una difesa adeguata, sebbene la maggioranza dei Paesi sotto l’influenza comunista non fosse molto entusiasta della situazione e provasse a ribellarsi ricadendo però in violentissime rappresaglie.

Sulle ceneri della Società delle Nazioni, fallimentare nel suo intento di mantenere la pace, nacque un nuovo organismo: l’ONU. Il climax della crisi venne raggiunto con la crisi di Cuba che da poco aveva subito una rivoluzione di stampo comunista che aveva portato al potere Castro e Che Guevara. Qui vennero installate delle stazioni missilistiche russe. In breve lo zio Sam si ritrovò con il coltello puntato alla gola e inviò un ultimatum all’URSS, la guerra rischiava di tornare, l’Europa rimase a guardare impotente quella che poteva diventare una escalation di violenza che, molto probabilmente, avrebbe portato alla fine del mondo. Insperatamente la luce tornò, i missili vennero ritirati e si tornò a uno scontro meno diretto, ma non per questo poco rischioso. Il termine guerra fredda è estremamente calzante se si vuole descrivere la situazione complessiva. Coniato inizialmente da Orwell e usato per indicare il conflitto dal giornalista Littmann, il termine ritrae quella che a tutti gli effetti possiamo chiamare una “guerra moderna” e io oserei dire anche “guerra totale”. Questo perché oltre al campo militare vennero tirati in gioco diversi altri settori.

Le due visioni del mondo andarono a scontrarsi inevitabilmente: da una parte l’idea comunista di parità e uguaglianza che alle volte portava anche ad un omogenea povertà, dall’altra la visione capitalista liberale occidentale che, conscia delle disuguaglianze sociali che creava, sceglieva di ignorarle e di continuare nel suo percorso.

I colpi, però, vennero sparati, i caduti vennero seppelliti, sangue fu versato, semplicemente si utilizzarono altri territori come campo di battaglia, Paesi nei quali si manifestò pienamente il confronto. Emblematiche furono le guerre di Corea che venne divisa, in corrispondenza del trentaseiesimo parallelo terrestre, in Corea del Nord, appoggiata dall’URSS, e Corea del Sud che, nelle fasi più avanzate della guerra, venne considerevolmente aiutata dagli americani. Emblematica fu la battaglia portata avanti dagli USA in Vietnam, tanto sentita quanto fallimentare, di fatti non portò a nulla perché l’opinione pubblica si scagliò contro una guerra che apparve quanto mai inutilmente crudele.

A differenza di altre guerre, la guerra fredda fu prolifica soprattutto sotto il punto di vista scientifico. Lo scontro fra i due ideali portò anche alla necessità di imprimere la propria idea nel campo della ricerca, imporsi sull’avversario e diventare i primi a raggiungere una meta. Quest’ultima prese forma e nome: la luna, il satellite terrestre, di fatti raggiungerla avrebbe significato riuscire a guardare il mondo dall’alto e averne la completa supremazia. Fin dal lancio dello Sputnik, primo satellite in orbita, apparve chiaro agli americani che ci fosse bisogno di imporsi anche in altri ambiti, non solo quello militare. Sul territorio americano si allungò l’ombra del nemico, il satellite sorvolò il continente sotto lo sguardo sbalordito degli americani. L’evento fu motivo di evidente vergogna e il sentimento nazionale venne ferito, così emerse in tutta la sua potenza la resilienza e forza di coesione del popolo americano. Tramite una totale conversione della produzione industriale, gli americani riuscirono infatti a diminuire e azzerare il gap tecnologico con i russi, arrivando per primi, il 20 Luglio 1969, sul “tetto del mondo”.

Tornando a parlare di politica, di missili e di conflitti la guerra fredda si “raffreddò” e andò scemando, anche grazie alla rapida successione di leader più propensi all’apertura nei confronti dell’avversario. La cortina di ferro scivolò via, affondò nell’oceano atlantico e il mondo iniziò di nuovo a respirare.

 Il 9 novembre 1989 si sentì un tonfo sordo, seguito da risate e abbracci: era caduto il simbolo della divisione tra i popoli, delle difficoltà, della paura, giaceva a terra in una massa informe di detriti, colpito a martellate con il sorriso di chi sa che la rinascita sta avvenendo, di chi sa che la storia è bella anche se fa male e che gli abbracci più profondi nascono dal dolore. Ritornò la luce a filtrare tra le pigre pieghe delle tende come quando dopo un temporale estivo si può tornare a sorridere con il sole, il mondo non era più diviso.

La guerra fredda, nonostante sia un conflitto, ha lasciato alle nuove generazioni eredità importantissime, basti pensare che i sistemi satellitari sarebbero arrivati molto più tardi senza la volontà delle due superpotenze di dimostrare l’egemonia scientifica. La guerra fredda fa capire che, nonostante le marcate differenze, è possibile trovare dei punti d’incontro, che i muri sono fatti per essere abbattuti e le divergenze possono essere superate perché alla fine, nella nostra debole finitezza, siamo tutti esseri umani.

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