Gio. Set 19th, 2024

La normativa in punto di transito di armi, quali limiti?

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LE GUERRE FANTASMA – Il mondo si prepara alla destabilizzazione dei vecchi equilibri di pace, che si credeva fossero ormai definitivi e incontestabili. Instabilità vuol dire assistere o all’insorgere di nuovi conflitti, peraltro non per forza armati (si veda la guerra commerciale intrapresa dagli Stati Uniti verso la Cina, in nome della politica di protezionismo americano: i prodotti finiti e le materie prime che arrivano da Pechino, infatti, sono stati raggiunti da dazi doganali esorbitanti), o alla estensione di quelli già esistenti.

In cornici storiche buie come queste, il pensiero degli Stati va alla questione della difesa e della corsa agli armamenti. Il riarmo militare globale è il sintomo del risveglio di incertezze e di paure per la messa in pericolo della stabilità geopolitica tra gli Stati. In questo senso, non vi hanno contribuito tanto i numerosi conflitti civili e internazionali presenti nei diversi continenti di cui quasi nessuno parla, quanto piuttosto l’invasione dell’Ucraina da parte del Cremlino e, da ultimo, il conflitto in corso all’interno della Striscia di Gaza. L’attenzione mediatica è rivolta solo a questi due conflitti per la loro risonanza geopolitica al di fuori dei confini.

Tuttavia, questo non significa che le guerre fantasma non siano altrettanto violente e sanguinose. Il rapporto del Global Humanitarian Overview ha stabilito che nel 2024 sono circa 300 milioni le persone che necessitano di aiuti umanitari. L’Armed Conflict Location and Event Data Project ha sistemato e categorizzato i conflitti attuali in base a quattro indici: mortalità, messa in pericolo dei civili, livello di diffusione della guerra e la frammentazione dei gruppi armati.

COME FUNZIONA L’ESPORTAZIONE E L’IMPORTAZIONE DELLE ARMI IN ITALIA? – Ogni conflitto armato condotto necessita di risorse economiche. Per alcuni di questi sono sufficienti le risorse interne ad uno Stato che vengono accantonate per sostenere le spese militari. Per altri conflitti, e precisamente per quelli condotti su vasta scala, occorre l’aiuto di altri Stati. Scatta così la cooperazione degli Stati nel sostegno militare alla causa di uno dei Paesi belligeranti. La memoria dei due grandi conflitti mondiali ha fatto sì che venissero posti degli argini alla proliferazione delle armi, in particolare del nucleare. Ecco perché ci sono delle regole interne e internazionali che presidiano la procedura di esportazione e di importazione di armi, tutte ispirate al principio di utilizzo delle armi al solo scopo di deterrenza e di difesa.
Ed è per questo che approfondire la normativa italiana sulle esportazioni, importazioni e transito intracomunitario (cioè a dire tra Stati membri dell’Unione Europea) è quanto mai azzeccato, considerata l’alta intensità con cui si sta conducendo una sanguinosa guerra nella Striscia di Gaza. Il che è possibile solo grazie al sostegno economico e militare derivante dall’Occidente su cui Israele può contare (per approfondire, si legga l’articolo di Domenico Birardi dal titolo “Italia-Israele, i profitti dell’industria bellica e la guerra di Gaza”).

La legge di riferimento è la n. 185 del 1990, successivamente modificata e integrata dalla ratifica di accordi internazionali e dal recepimento di direttive europee. La vendita di armi in Italia è ispirata al principio stabilito dall’art. 11 della Costituzione, secondo cui “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Questo vuol dire che, compatibilmente con l’idea che la guerra non possa costituire il mezzo principale per risolvere le divergenze fra Stati, l’Italia non può perseguire una politica estera e di difesa esageratamente bellicosa.

La procedura di esportazione e di importazione di armi è stringente ed è caratterizzata da diversi controlli espletati a più riprese dai diversi organi dello Stato, in particolare con il coinvolgimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministri degli affari esteri, dell’interno, della difesa, delle finanze, dell’industria, del commercio e dell’artigianato, delle partecipazioni statali e del commercio con l’estero.

Ma il rilascio delle licenze per la vendita di armi avviene da parte dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento (UAMA) del Ministero degli affari esteri, dopo che è stata esaminata la legittimità della domanda di autorizzazione per l’esportazione. La documentazione presentata viene vagliata dal Ministero degli affari esteri e poi trasmessa al Comitato consultivo che esprime il proprio parere, trasmettendolo al primo. Ogni autorizzazione presenta una validità di tre anni, e può essere rinnovata o prorogata in base all’andamento della contrattazione pattuita. La licenza concessa può essere anche sospesa o revocata con decreto del Ministero degli affari esteri.

Obblighi informativi e di trasparenza incombono sul Presidente del Consiglio dei ministri che entro il 31 marzo di ogni anno deve trasmettere al Parlamento una relazione, nella quale vengono indicate le operazioni autorizzate e gli Stati coinvolti compiuto nell’anno precedente fino al 3 dicembre.
L’Italia non può avviare una contrattazione di esportazione di armi con qualsiasi Stato. Sul punto, è bene ricordare (oltre ai criteri di valutazione dei rischi di cui all’art. 1 della legge nazionale) che il “Trattato sul commercio delle armi” (“Arms Trade Treaty“) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, cui l’Italia ha aderito, prevede delle ipotesi per le quali non è possibile rilasciare la licenza. Allo stesso modo nell’ambito dell’Unione Europea, la Posizione Comune del Consiglio dell’Unione Europea 2008/944 PESC (politica estera per la sicurezza comune) definisce dei criteri di valutazione dei rischi, al ricorrere dei quali occorre rigettare le domande di licenza di esportazione di tecnologia e di attrezzature militari. Il rigetto va obbligatoriamente comunicato qualora ci sia un altro Stato UE che, al contrario, stia valutando di concedere la licenza di esportazione in una situazione identica. Seguiranno le consultazioni bilaterali fra gli Stati interessati.

I principali criteri valutativi hanno a che vedere con il rispetto da parte dello Stato degli impegni e degli obblighi internazionali assunti, con il rispetto dei diritti umani da parte del Paese di destinazione, con la situazione interna presente nel Paese interessato. Se l’esportazione di armi provoca un prolungamento di conflitti e di tensioni già presenti nello Stato, allora non c’è dubbio che l’Italia debba negare la concessione della licenza. Inoltre, occorre valutare il comportamento del Paese richiedente con riguardo alla comunità internazionale e accertarsi che esso intenda davvero garantire il “mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità regionali”.

In una cornice normativa come questa, peraltro bene integrata nel contesto normativo europeo e internazionale, se ne auspicano l’effettivo rispetto e vincolatività. Arguire di diritto e di rispetto dei diritti umani in contesti bellici e instabili come quelli che respiriamo negli ultimi tempi, non è semplice. Potrebbe sembrare di stare parlando di vacuità messe in piedi in un testo scritto, incapaci di porsi da sé nell’esserci tangibile e fenomenico se non dietro la spinta dei gruppi dominanti, gli stessi che le hanno poste e decidono quando sia il momento giusto di sganciarle o di riporle dietro la tendina delle cianfrusaglie impolverate. Il fatto che sia così, tuttavia, non deve distogliere dal parlarne. Quelle voci fuori tono, sono utili anche quelle.

Per approfondire:
https://www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/docnonleg/48897.htm, Senato della Repubblica italiana.

di Maria Lucia Tocci

Studiosa del diritto. Attivista per la pace e per i diritti civili.

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