Parlare di democrazia partecipativa oggi è un nodo cruciale, per due ragioni fondamentali. La prima è da ricercarsi nella crisi di rappresentatività interna ai partiti politici che ci portiamo dietro fin dall’annata Tangentopoli con tutte le sue ricadute negative in termini di crescente sfiducia della popolazione nei candidati politici e conseguente calo di affluenza alle urne. E poi, c’è un altro motivo che assorbe il primo ed è sintetizzato da Almagisti nei seguenti termini:
La ricerca sulla qualità della democrazia è pertinente con una situazione in cui non è tanto l’esistenza dei regimi democratici a essere in discussione, quanto il loro modo di essere: non il se, insomma, ma il come.
La ricerca sulla qualità della democrazia passa proprio attraverso le indagini, le iniziative nonché l’attivismo volto a rimettere in sesto lo schema valoriale democratico, che risponde da sempre al nostro comune senso di giustizia ma che, tuttavia, viene costantemente messo a repentaglio fino a correre il rischio di incrinarsi e di essere negoziato a beneficio di tutte quelle forme di potentato e di satrapia politica, ravvisabili tanto a livello di amministrazione centrale quanto a livello di amministrazione degli enti territoriali (Comuni, Province ecc…). La conquista progressiva della democratizzazione degli assetti di potere è il frutto di un lungo processo storico che ha portato all’istituzione ineludibile di un governo del popolo nel quale la sovranità appartiene al popolo. Ebbene, quel sostrato valoriale per noi è irrinunciabile ed è impensabile che possa arretrare di fronte ai giochi di potere di satrapi politici che, ossessionati dalle tendenze individualiste e dalla cura della propria immagine, hanno dimenticato il principale ed unico compito al quale sono chiamati (in quanto eletti dal popolo): attuare il programma votato dai cittadini.
LA STORIA – È da quando le istanze illuministe cominciarono a sollecitare il passaggio dallo Stato assoluto ad una forma statale liberale che si combatte contro le satrapie politiche. È da quando l’Illuminismo si insinuò che si sente parlare di partecipazione, intesa come dottrina politica desiderosa di superare l’idea di un princeps, cioè di un sovrano assoluto nelle cui mani giacciono i tre sommi poteri dello Stato. E non bisogna credere che la partecipazione si sia sviluppata in modo disincagliato dalla democrazia e dal costituzionalismo.
Gli albori dei suddetti tre perni di questa costituenda dottrina politica sono da rinvenire nella tradizione giuridica inglese, quando il Bill of Rights del 1689 e l’Act of Settlement del 1701 riuscirono ad imprimere un nuovo volto al Parlamento, non più subordinato all’insondabile potere discrezionale del Re, ma quale luogo in cui veniva ad attuarsi per la prima volta quell’idea autentica di rappresentanza politica.
I testi costituzionali prima richiamati furono il punto di approdo delle rivoluzioni del 1649 e del 1688-89 e, forse, è proprio da qui che può cominciarsi a scorgere il primo germe della c.d. democrazia partecipativa. Thomas Paine lo disse chiaramente nel suo Rights of Men: «la Costituzione non è l’atto di un governo, ma è l’atto di un popolo che costituisce un governo».
LE COSTITUZIONI – Allora, questo vuole dire che gli strumenti di democrazia partecipativa si trovano all’interno delle costituzioni?
La realtà è che non sempre questo è certo. Ad esempio, la Costituzione italiana dedica una sola disposizione normativa alla democrazia partecipativa, quasi come se i Padri Costituenti nutrissero molta più fiducia in quei meccanismi di democrazia rappresentativa (in primis, i partiti politici) che non nella reale capacità di una società civile di auto-organizzarsi per porre le proprie istanze nelle competenti sedi istituzionali, in assenza dell’ausilio di un partito-intermediario. Ed invero è effettivamente così se pensiamo che, in sede di Assemblea Costituente, l’on. Tosato bocciò un fondamentale emendamento per la garanzia della democrazia partecipativa, l’emendamento La Rocca-Togliatti. Questi ultimi intendevano inserire nell’art. 91 (oggi art. 97) della Costituzione la dicitura “la legge determina i modi e le forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni” ma a questo si ribatté argomentando che le forme di vigilanza sull’operato delle pubbliche amministrazioni, in realtà, già erano garantite ed erano date dalle assemblee rappresentative.
La norma in questione che si occupa di democrazia partecipativa è l’art. 118 co. 4 della Costituzione nella parte in cui, ponendo la c.d. sussidiarietà orizzontale, sancisce che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Insomma, è la solita norma in bianco che attende di essere attuata a cura di fonti sub-costituzionali. La qual cosa sta avvenendo all’interno di alcuni Comuni italiani, ma non ancora in numero sufficiente tale da fare sviluppare una coscienza collettiva e consapevole dell’esistenza di istituti di democrazia diretta.
IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA – Sarà a causa di una maggiore consapevolezza e sensibilità rispetto agli strumenti di democrazia diretta o, forse, sarà per via della presa di coscienza della crisi di rappresentatività dei partiti politici che le fonti normative comunitarie dedicano una disciplina più puntuale alla partecipazione popolare diretta.
Sebbene l’art. 10 del Trattato sull’Unione Europea sancisca al comma 1 che «Il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa»[1], il valore della partecipazione popolare diretta viene immediatamente recuperato agli artt. 11 del T.U.E. e 24 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, lasciandovi debito spazio, molto più di quanto non faccia la nostra Costituzione.
Precisamente, l’art. 11 del T.U.E. merita di essere riportato integralmente per la sua portata nevralgica nella promozione di un tipo di democrazia che sia altro rispetto a quella coltivata da sempre e in maniera fallimentare all’interno dei partiti politici:
1. Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione.
2. Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.
3. Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate.
4. Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati.
Le procedure e le condizioni necessarie per la presentazione di una iniziativa dei cittadini sono stabilite conformemente all’articolo 24, primo comma del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Si comprende, quindi, che gli strumenti di democrazia popolare diretta assumano maggiore nitidezza a livello europeo, grazie alla espressa previsione di istituti come i dibattiti, le consultazioni e le interlocuzioni con la Commissione europea. Senza parlare dell’art. 24 del T.F.U.E. che, preliminarmente, pone a carico del Parlamento e del Consiglio l’adozione di regolamenti relativi «alle procedure e alle condizioni necessarie per la presentazione di un’iniziativa dei cittadini ai sensi dell’articolo 11 del trattato sull’Unione europea, incluso il numero minimo di Stati membri da cui i cittadini che la presentano devono provenire» (comma 1).
Inoltre, viene riconosciuto a ciascun cittadino dell’Unione il diritto di petizione e la possibilità di scrivere alle istituzioni europee al fine di ricevere una risposta nella stessa lingua con quale l’istanza è stata scritta.
I COMUNI DEL MEZZOGIORNO E LA SATRAPIA POLITICA – La piaga delle amministrazioni degli enti territoriali è data dai potentati politici. La loro bramosia di potere li rende impermeabili di fronte alle istanze di pubblico interesse della cittadinanza. Il satrapo concepisce la conquista del seggio non già quale occasione per rappresentare e compiere il programma elettorale votato dai cittadini, in una dimensione dialogica con le opposizioni, ma quale luogo per realizzare interessi personalistici, poco importa se confliggenti o meno con l’interesse pubblico generale. Il suo atteggiamento individualista crea una frattura sconcertante tra l’amministrazione e la società civile, che si ritrova clamorosamente emarginata dai processi decisionali che, invece, avrebbero dovuto annoverare nell’ordine del giorno le istanze cittadine.
LA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA – Il fil rouge di questa disamina normativa sta nella presa di coscienza che, evidentemente, occorre fare di più per la garanzia di efficacia della democrazia diretta e che non basta che essa sia presente e cristallizzata in un testo normativo. La sua previsione in una forma meramente embrionale non ne assicura la vera attuazione.
Ed è per questo motivo che MetaSud, seguendo l’esempio di alcuni Comuni italiani e nello spirito della Costituzione e dei moderni principi di democrazia partecipativa sanciti dal Trattato sull’Unione Europea (1992), intende attivarsi per portare nei Comuni italiani del Mezzogiorno un ampio progetto di democrazia partecipativa, al fine di conseguire una democratizzazione e trasparenza dell’attività amministrativa.
Abituati ormai, all’inefficace meccanismo della delega e della rappresentatività politica, ci siamo dimenticati di questi importanti strumenti a nostra disposizione. La riemersione degli istituti di democrazia diretta, quali l’interrogazione con risposta documentata, le iniziative referendarie, il bilancio partecipativo e le deliberazioni di iniziativa popolare consentirebbero ai cittadini di sottoporre personalmente all’attenzione delle Pubbliche Amministrazioni locali le istanze di tutela degli interessi della collettività. Senza parlare del fatto che la promozione di azioni pubbliche locali garantisce efficienza e maggiore celerità, più di quanto possa accadere con le farraginose procedure di delega politica.
Un importante ostacolo da superare nel percorso per l’attuazione della democrazia partecipativa è costituito dal rigore tecnico molto spesso richiesto per poter attivare gli strumenti di democrazia partecipativa e per interloquire legittimamente con l’Amministrazione. Questo tecnicismo è proprio solo di chi maneggia quotidianamente una materia, tale per cui può mancare nel cittadino che desidera rivolgere un’istanza alla pubblica amministrazione. Ed è per questo che un passaggio nodale verso l’attuazione della rivoluzione democratica è dato dall’introduzione dei centri di produzione giuridica.
Si tratta di funzioni messe a disposizione del cittadino gratuitamente da parte degli Uffici comunale, che saranno reperibili per dare forma giuridica alle proposte popolari e fare in modo che queste vengano sottoposte all’attenzione dell’Ente di riferimento.
Si pensi al caso di un gruppo di cittadini che, attanagliato da una questione di interesse generale che incrocia materie rientranti nella competenza del Comune, desideri indire lo strumento partecipativo della deliberazione di iniziativa popolare, ma non sappia quale sia il procedimento da seguire con il rischio concreto di attivare lo strumento ma poi, successivamente, di essere raggiunto da una dichiarazione di inammissibilità della proposta di delibera. Sarà, dunque, il centro di produzione giuridica ad affiancare il cittadino nella redazione di una regolare proposta di delibera, al fine di superare positivamente tutto l’iter di verifica sancito. L’ausilio tecnico è fondamentale per l’attuazione prolifera degli strumenti di democrazia partecipativa.
E cosa dire poi delle primarie civiche quale altro tassello per la garanzia effettiva della democrazia partecipativa nei Comuni del Mezzogiorno? Dinanzi al culto dell’individualismo e dell’esaltazione del proprio io in sede elettorale, le primarie civiche costituiscono un ottimo strumento attraverso cui compiere una duplice scelta: selezione del programma elettorale, a cura della popolazione, in ogni suo punto e l’individuazione del soggetto che dovrà candidarsi e che, in caso di vittoria, sarà chiamato ad attuarlo. Aggirando l’involucro rappresentativo fallimentare del partito politico (dietro cui, spesso com’è accaduto, molti personaggi politici si sono nascosti, lasciando cadere nel vuoto colpe politiche immani), la diretta investitura popolare del soggetto chiamato a candidarsi stabilisce un forte sodalizio tra corpo elettorale e candidato sul quale grava una pregnante responsabilità nel compito di attuazione e osservanza del programma elettorale.
CONCLUSIONI – La rivoluzione democratica passa necessariamente attraverso questi punti e, se non promana dalle sedi istituzionali a ciò preposte, lo si fa da noi con l’attivismo e la movimentazione nei Comuni del Mezzogiorno. Le vie per accorciare le distanze tra Amministrazione e cittadini sono tante e devono essere tutte compiutamente percorse all’interno di un progetto di rivoluzione democratica di ampio respiro. Che fare? La rivoluzione democratica, in quanto la questione della partecipazione popolare non deve considerarsi assolta da meri richiami normativi costituzionali o europei.
Quelle norme stanno lì perché attendono di essere attuate grazie ad un processo di innalzamento della qualità democratica. Un processo, questo, che non deve essere assolutamente banalizzato con la relegazione degli istituti partecipativi al momento finale di un processo pubblico decisionale (originato dall’alto) già definitivo e incontestabile.
[1] Con ciò facendo chiaro riferimento al ruolo primario dei partiti politici quali promotori di quella “coscienza politica europea” (comma 4).