Gio. Set 19th, 2024

Tradizione e modernità, riflessioni a margine del convegno su Franco Cassano

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Lo scorso 23 aprile all’Università Aldo Moro di Bari si è svolto un convegno sul Mediterraneo e sul pensiero di Franco Cassano. La città di Bari, e in particolare l’Ateneo, hanno inteso rendere omaggio e riportare al centro le riflessioni dell’autore de Il pensiero meridiano. Il convegno è stato anche l’occasione per analizzare il saggio Lungo la via meridiana, a cura di Moro, Petrosino e Romano. Alcuni autori di Meta Sud hanno partecipato al convegno, proponiamo qui, a margine, alcune riflessioni.

Il Mediterraneo è un ambiguo simulatore, come tutti i mari d’altronde. Doppiezza e ambiguità sono i veli di cui si drappeggia sovente: ha due fronti e due facce come il più infido dei farabutti, il Mediterraneo. Nel «vortice» della storia (espressione fortunata di Pier Luca Marzo) ha mostrato impudico come possa essere il fuoco primitivo da cui originano le nostre ambizioni storiche e allo stesso tempo la gelida, impassibile mietitrice che annega migliaia di vite ogni anno. Il Mediterraneo (medĭustĕrra, in mezzo alla terra), fascinosa valle salina che s’infila silenziosa per i colli di bottiglia di Suez e di Gibilterra; vasca da bagno, alcova e capezzale dei giganti della storia. Il Mediterraneo, sottosuolo su cui la cultura meridiana germoglia e fiorisce.

Franco Cassano è stato in grado di formulare nuove prospettive etiche e metodologiche d’analisi della cultura meridiana, bisogna dargliene atto. Il suo pensiero è stato oggetto di studio e probabilmente ancora oggi rappresenta una cifra irriducibile della realtà nostrana, non solo meridionale. Un esempio insomma. Tuttavia, se proprio volessimo tenere fede alla sua linea di pensiero – emersa con vividezza a margine del convegno nella lettura di un saggio inedito che verrà pubblicato postumo tra qualche mese -, non dovremmo percepire le sue conclusioni alla stregua di postulati immodificabili, ma come utilissimi spunti per cominciare un discorso sulla miriade di temi che ha scelto di trattare nella sua attività di ricerca. Punti di origine delle riflessioni che continueranno negli anni a venire, insomma, più che conclusioni.

LA TRADIZIONE E LA MODERNITA’ – Delle tante riflessioni e osservazioni che sono state formulate durante il convegno, una più di tutte ha catturato la mia attenzione: il rapporto tra tradizione e modernità. La loro convivenza è una cifra indubbia del tempo che scorre, del divenire vorticoso e virulento che la tecnica impone alla società e all’individuo. La rottura della ciclicità temporale greca, la mitologia prometeica e la morte di Dio hanno in seno tutto sommato questo: il divenire storico come declinazione dell’impossibile non ancora emerso, della venuta ad esistenza di una incalcolabile declinazione della realtà ipotetica. Tradizione e modernità coesistono come i lembi estremi di una coperta, delimitano l’orizzonte di senso dell’umanità e pongono dei limiti alla cieca, nuda forza dell’uomo. Oltre questi due estremi non si scorge nulla, e quindi racchiudono l’assoluto esistente. Eppure il teatro di conflitto in cui si compie e s’afferma la quotidianità umana è proprio quel terreno di mezzo, quel Mediterraneo appunto, tra la potenza dell’esistente e la forza dell’esistente ipotetico.

Due culture si incontrano emulando le onde del mare che s’accavallano sulle loro gemelle mosse verso la riva; la più corpulenta e densa abbraccia la più minuta e flebile, conducendola verso terra. Perché il tempo sarà pure un vortice, financo un’invenzione, ma l’escatologia culturale no: ogni onda, come mossa da una pulsione immotivata verso un comune punto di confluenza, sogna d’infrangersi sulla terra, ambisce villosamente a consolidarsi. E allora la crasi, l’unione delle dimensioni contrapposte, o quantomeno sino ad allora estranee, che prima costituivano due identità separate; e se ai lettori non piace il termine crasi, ben venga quello meno verecondo “coniugio”, “copulazione” e financo “incesto”. Sì, perché tutte le culture in fin dei conti sono figlie della stessa madre.
Coniugio culturale, ponte logico della coesistenza che sterilizza lo scontro, contaminazione delle diversità in vista di un parto poietico; in una parola: sincretismo. Sin-cre-ti-smo, scandito con la giusta lentezza, si fa processo intrinseco all’incontro tra culture, apoteosi del processo di contaminazione tra tradizioni estranee ma non incompatibili, travaglio collettivo che partorisce la dimensione meridiana.

IL POTERE E LA MODERNITA’ – Tutto sommato non credo che la genesi delle culture sia estranea alla ordinaria grammatica del potere. Mi spiego: ogni cultura s’impone come utile del maggior potere presente in un dato periodo storico: la declinazione del potere, limitatamente alla compagine territoriale entro cui ha la possibilità di affermarsi, disciplina l’agire dei soggetti che le sono sottoposti. Il potere emerge come un’assurda creatura nella sua fascinosa dimensione proteiforme e genera ciò che gli piace. Com’è anarchico e sregolato, il potere.
Tuttavia, il comportamento, la regola e l’azione già per il fatto d’esistere non sono tradizioni. Sono la diuturnità dei comportamenti conformi alla disciplina del potere e la vincolatività fattuale che la norma riesce a garantirsi che permettono di consolidare un comportamento trasformandolo in tradizione. L’elemento temporale e l’introiezione della prassi è condizione necessaria perché questo avvenga. Quindi la tradizione è figlia del potere, ed entrambi figurano come elementi intimamente connessi nella convivenza umana.

Se pensiamo alla modernità – intesa qui come rinnovamento della tradizione – le cose non sono poi così diverse. La modernità è il prodotto di una creazione (poiesis) o di un’unione (crasis). Nasce come nascono le tradizioni e nulla ha di diverso rispetto ad esse. La differenza forse però non va ritrovata nell’analogia tra modernità e tradizione, ma nella loro diversità. La tradizione è un magma dinamico sempre variabile e mai definibile come consolidato, un fiume che attraversa il cuore di una comunità in cui affluiscono varie modernità. La tradizione è e sarà sempre una (uguale e diversa); le modernità sono varie e muovono le loro mosse dallo smottamento degli argini della tradizione. Modernità e tradizione sono i lembi della coperta sulla quale ogni comunità si adagia, e perciò ci contengono nostro malgrado.

FINIRE PER RIPARTIRE – Ripartire da Cassano, magari confutandolo, per quanto mi riguarda, vuol dire questo: cominciare a concepire la tradizione in maniera paralogica, tempio di verità temporanee e contingenti che costituiscono il punto d’origine della trasformazione. Il nostro confronto con le altre culture, in particolare quelle africane e asiatiche, dovrebbe ritrovare il suo locus nella cultura meridiana, geografia di snodi d’incontro che trova nella mediazione e nella tolleranza la sua intima, sottilissima eticità originaria. Per semplificare, i meridionali dovrebbero ricominciare ad essere medĭustĕrra tra ciò che oggi sono e le innumerevoli declinazioni del loro futuro possibile.

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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