Gio. Set 19th, 2024
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Partiamo da una questione, ovvero dalla “questione meridionale”. Esiste ancora? Al di là della mitizzazione del problema, del divario nord-sud in Italia, essa non rappresenta più un tema urgente da risolvere, scompare subito dopo essere stato utilizzato come mera propaganda elettorale sventolata dalle varie forze politiche che si contendono la maggioranza al potere. Non c’è più la questione meridionale perché non c’è più l’unitarietà dello Stato nazionale, il dualismo italiano che ha permesso di affrontare il divario, si è dissolto nel concetto di sovranazionale, sono rimaste regioni più fortunate e regioni meno fortunate. Storicamente è scomparso lo Stato unitario che si poneva come obiettivo, attraverso varie misure di intervento sociale, come la Cassa del Mezzogiorno, di colmare quelle mezze misure. Milano non guarda al sud, è un altro mondo, guarda alla Mitteleuropa, mentre il Meridione è rimasto congelato nella lotta politica come retorica di intervento che, in realtà, non riesce ad emergere utilizzando gli strumenti della lotta sociale tradizionali.

In realtà la scomparsa della questione meridionale coincide con l’evaporazione dello Stato nazionale, dove le forze che hanno culturalmente inciso nella costruzione della stessa idea di Europa, ovvero la socialdemocrazia, non hanno più raggio di azione, perché le democrazie sono diventate deboli, in quanto i loro recinti sono stati divelti e abbandonati al nichilismo delle dittature economiche. Non è facile rompere questo dilemma: è possibile realizzare una democrazia sovranazionale, se essa è concepita all’interno di spazi storicamente ben delimitati dallo Stato-nazione? La partecipazione civile e politica sono la linfa vitale della democrazia, ma i tempi cambiano velocemente rispetto ad un passato più moderato e lento nelle trasformazioni, il pensiero non riesce a stare al passo con la velocità della tecnica. Se prima avevamo dei tempi di reazione e comunicazione limitati, oggi basta un clic, vero o faceto che sia, a diffondere non solo un’idea, ma anche un fatto compiuto, un’azione.

Il sud, inteso come macrocategoria di ciò che è rimasto “indietro”, e non solo una mera entità geografica, può superare l’ostacolo della tecnica che gioca di sorpasso azzardato? Tra Achille e la tartaruga, paradosso noto nell’antichità, vince la lentezza come superamento della sofisticazione infinitamente divisibile all’infinito, o l’astuzia?
È all’interno di questo snodo che potrebbe giocarsi un’importante sfida al superamento di quelle categorie di interpretazione che sono state rilevate nell’analisi della questione meridionale, che vanno dalla condizione di arretratezza voluta e forzata da parte di regioni egemoni del nord, sino al fenomeno del brigantaggio e delle mafie come organizzazioni criminali, passando attraverso un deficit strutturale e industriale, oppure in rapporto alla posizione geografica, lontano dalle ricchezze degli Stati più sviluppati. Tutto ciò non è sufficiente a sbloccare l’emancipazione materiale delle regioni del sud, ovvero quelle intese da Roma in giù, ma bisogna riconoscere anche una responsabilità oggettiva nelle classe dominante, fenomeno già denunciato da Salvemini e Gramsci, che congela tutte le possibilità di sviluppo civile, economico e sociale.

Fatta la diagnosi del disagio, probabilmente siamo più vicini ad individuare la cura. Farmaco efficace si potrebbe individuare proprio nella riconversione delle istituzioni del Mezzogiorno, non a partire esclusivamente dalle classi dirigenti, ma infondendo nel popolo stesso la cultura della partecipazione attiva e responsabile alla cosa pubblica, in cui ogni cittadino maturi la consapevolezza che la singola azione, sommata alle altre, determina necessariamente e quasi matematicamente le sorti della progettazione. Spesso i dati scolastici, anche se ridotti a fredde cifre, rintracciano un grado di alfabetizzazione inferiore negli studenti meridionali, le cui cause sono anche rintracciabili in una condizione socio-familiare più svantaggiata rispetto agli studenti delle regioni settentrionali, in cui l’accesso a mezzi e servizi sociali è sicuramente, anche qui in cifre, maggiore.

Se la società dello sviluppo e dell’estensione della tecnica ha fortemente ridimensionato l’interesse per la politica e per la società, perché la piazza globale è stata progettata per tutti e può bastare come sedativo al cambiamento, l’antidoto è proprio nel suo ribaltamento.
Consapevolezza e partecipazione attiva nella lotta ad una subcultura organizzata possono essere strumenti di risoluzione di una questione, quella meridionale, che è scomparsa dalle scene, ma che ancora esiste concretamente e in maniera più urgente rispetto al passato.

di Annachiara Borsci

Annachiara Borsci è docente di Filosofia e Storia al Liceo "Moscati" di Grottaglie (TA). Dopo la Laurea in Filosofia, conseguita all'Unisalento di Lecce nel 2004, ha proseguito gli studi conseguendo nel 2009 il Dottorato di ricerca in discipline storico- filosofiche presso la stessa Università di Lecce sul pensiero di Hannah Arendt dal titolo "Il problema del male e la rifondazione della politica".

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