Dopo l’imprudente attacco Israeliano presso la sede del consolato iraniano in Siria, l’escalation era inevitabile. A nulla è valso l’avvertimento rivolto all’Iran dall’egemone globale per bocca del suo anziano presidente.
In questi mesi abbiamo condotto una campagna di divulgazione sulla questione palestinese, per conferire a chi ci ha seguito in questo tour per la pace, le nozioni di base per comprendere i motivi storici e geopolitici della condizione della terra di Palestina. Una delle componenti essenziali della nostra esposizione è stata la descrizione del rapporto privilegiato che gli USA hanno intrattenuto con Israele sin dalla sua fondazione.
Gli aiuti economici, le cooperazioni militari, le forniture di tecnologia militare avanzata, gli ombrelli: nucleare, convenzionale e diplomatico che l’America possiede in quantità pressoché infinita, messi nella disponibilità dello stato israeliano, lo hanno reso un fortino inespugnabile dal carattere bellicista e sanguinario.
Certo della propria immunità da provvedimenti, in seguito alle continue violazioni del diritto internazionale perpetrate, sicuro della propria deterrenza nucleare e militare nei confronti del mondo arabo – persiano circostante. Avevamo tirato un sospiro di sollievo quando, qualche settimana fa, questo rapporto privilegiato sembrava essersi incrinato, in seguito alle forti pressioni delle opinioni pubbliche internazionali e dei popoli a migliaia nelle piazze di tutto il mondo in favore dei gazawi.
Alcune dichiarazioni, operazioni diplomatiche trasversali e addirittura l’astensione dal veto in sede di Consiglio di Sicurezza ONU, davano chiari segnali di frenata nel folle rapporto USA – Israele.
Nessun arretramento da parte israeliana, invece, si è registrato. Anzi, il leader Netanyahu non ha smesso un minuto di annunciare testardamente che l’attacco finale verso Rafah ci sarebbe stato, con o senza gli americani, che da parte loro annunciavano futilmente tale incombenza come la linea rossa dei rapporti reciproci.
La vittoria diplomatica del folle Netanyahu, invece, si è ottenuta, sulla pelle anche dei propri cittadini, di cui in realtà poco gli importa, animato unicamente dal desiderio di restare in sella a quel potere detenuto per trent’anni, a costo dell’eccidio globale. La mossa spregiudicata della vittoria è avvenuta grazie ad una nuova violazione del diritto internazionale: il bombardamento di un consolato di una potenza regionale terza in territorio sovrano altrui. Il bersaglio grosso: Mohammed Reza Zahedi, comandante di alto rango delle guardie della rivoluzione iraniane.
La risposta iraniana, avvenuta nella giornata di ieri e tutt’ora in corso, con conseguenze inimmaginabili, stringe nuovamente gli USA ad Israele contro il nemico più odiato: quel nemico mai perdonato da quelle strane giornate iniziate il 4 novembre 1979 quando i folli rivoluzionari khomeinisti, per un mese e mezzo, tennero 52 ostaggi americani prigionieri nella loro stessa ambasciata. Umiliazione che è tuttora ferita non rimarginata. Dolore insopportabile nel cuore zeppo di orgoglio della potenza globale, umiliata da un gruppo di sparuti rivoluzionari che seppero rovesciare un governo amico e mettere mani sui propri cittadini.
Gli USA, in sintesi, annunciano la difesa di Israele, riposizionano la loro marina e attendono il da farsi. L’escalation ormai è compiuta, il mondo intero è col fiato sospeso. E mentre il conto delle vittime palestinesi dal 7 ottobre è salito a 33.686 e si compiono in questi giorni nuovi rastrellamenti nella dimenticata Cisgiordania, il fronte del conflitto si allarga verso il suo peggior punto di prospettiva.