Certo, gli incommensurabili successi dell’inarrestabile sviluppo della tecnica fanno ancor sempre credere che sia l’uomo il signore della tecnica. In verità, invece, egli è servo di quella potenza che attraversa e domina ogni produzione tecnica.
In questi termini il grande filosofo esistenzialista Martin Heidegger si espresse durante la conferenza tenutasi ad Amriswil nel 1965 dal titolo “La fine del pensiero nella forma della filosofia”, e le sue riflessioni furono racchiuse nel testo “Filosofia e la cibernetica”.
Siamo solo nel 1965, eppure Heidegger fu lungimirante nel preconizzare ciò che l’avvento della tecnica avrebbe significato per l’uomo e per la filosofia. La filosofia che originariamente teneva unite tutte le scienze, adesso giunge alla sua fine e si dissolve in diverse branche del sapere: la sociologia, la semantica, la logistica, la tecnologia.
A tenere unite le scienze autonome è la cibernetica, ossia un sapere scientifico che imprime ai differenti settori del sapere un’unità rigorosamente tecnica. Il dominio incontrastato della cibernetica è garantito in quanto essa soggiace ad un potere di controllo e di pianificazione che ricade tanto sulle scienze quanto sull’agire umano.
La ricerca della verità non è più improntata sul rapporto tra l’individuo conoscente e l‘oggetto che si desidera conoscere. Al contrario, con l’avvento della tecnica, la verità delle categorie del sapere viene acclarata unicamente in base alla loro capacità di promuovere il progresso scientifico.
La tecnica, con il suo approccio calcolante, impedisce la conoscibilità autentica delle cose (sempre a patto che questa sia davvero possibile), e le riduce alla mera logica utilitaristica e dell’impiegabilità. Le cose e gli individui allora vengono oggettivati e di essi restano solo da determinare la calcolabilità, la controllabilità e il loro fine ultimo in termini di utilità.
A detta del filosofo la tecnica non si manifesta solo nella semplice forma della produzione, ma anche in quella della provocazione (Herausforden), ossia della tendenza ad estrapolare dalla natura tutta l’energia accumulabile e impiegabile. Questo è il Gestell indicato da Heidegger: la totalità del potere tecnico, una totalità che altro non è che una gigantesca macchina al servizio della volontà di potenza, che sollecita l’uomo a nuove prestazioni, in un circolo senza fine. Il rischio è di assistere ad un frenetico installarsi dell’uomo nella dimensione nichilistica della tecnica, con la conseguente predita della propria essenza.
In un simile contesto distopico la filosofia diviene superflua in quanto non c’è più spazio per uno sviluppo autentico del pensiero. Alla forza del pensiero filosofico e alla sua incessante ricerca dell’Essere, subentra la logica dell’impiegabilità e dell’utilità dell’uomo e delle cose. L’uomo dunque viene ridotto ad un essere passivo che subisce il progresso tecnico e, limitato nel suo agire, si muove affacciato alla realtà con l’ausilio di una macchina, a sacrificio dell’annullamento del proprio Esserci.
E tuttavia proprio quando è sotto questa minaccia l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra. Così si viene diffondendo l’apparenza che tutto ciò che si incontra sussista solo in quanto è un prodotto dell’uomo. Questa apparenza fa maturare un’ulteriore ingannevole illusione per la quale sembra che l’uomo, dovunque, non incontri più altri che sé stesso. In realtà, tuttavia, proprio sé stesso l’uomo di oggi non incontra più in alcun luogo; non incontra più, cioè, la propria essenza”. (M. Heidegger “Essere e tempo”).