Gio. Set 19th, 2024

Don Luigi Sturzo, il meridionalismo cattolico-sociale

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“Rassegna di meridionalismi” è una rubrica del mercoledì sera che ha il fine di riannodare la storia del meridionalismo, dalle origini sino ad oggi. In questo quarto articolo ci occupiamo di don Luigi Sturzo, espressione del meridionalismo cattolico sociale.

Don Luigi Sturzo, nato a Caltagirone il 26 novembre 1871, non compare tra le figure classiche del meridionalismo, ma possiamo correttamente introdurlo in questa breve disamina, poiché ebbe un ruolo determinante nell’analisi degli effetti della questione meridionale. 

La formazione di don Sturzo era incardinata nella cultura cattolica, perciò non è possibile scindere il suo impegno per la questione meridionale da un più ampio coinvolgimento nelle problematiche religiose dell’epoca. Formatosi tra la Sicilia e il Lazio, egli ebbe modo di comprendere un dato non secondario del cattolicesimo del Mezzogiorno: la grande Controriforma cattolica del XVI secolo non aveva attecchito nel Sud. I parroci meridionali, aspramente criticati da Sturzo, vivevano un intimo coinvolgimento economico e sociale nelle problematica familiari e nelle beghe campanilistiche. Questo dato, di certo non esauribile quanto alle cause nell’Ottocento, aveva una radice storica ben più risalente, e trovò nell’unità d’Italia una sua parziale risoluzione. Il paradosso fu proprio questo: benché il processo unitario fu tenacemente avversato dai cattolici, esso contribuì all’affermazione della mentalità post-tridentina nel Mezzogiorno. Per tali ragioni, anche Sturzo vide nel Risorgimento e nell’Italia unita dei fenomeni profondamente positivi anche per il cattolicesimo.

Agostino Giovagnoli fornisce un’accurata descrizione di questi aspetti in Lezioni di meridionalismo:

(…) nei decenni postunitari il papato ha rafforzato i suoi legami con la società italiana, grazie alla caduta di molte barriere che separavano Roma dalle varie regioni italiane quando erano in vita gli Stati preunitari. Dopo l’Unità si è realizzata un’inedita unificazione delle strutture ecclesiastiche italiane e se in precedenza le Chiese dell’Italia meridionale guardavano prevalentemente a Napoli e la Sicilia a Palermo, dopo il 1861 è stata Roma a provvedere direttamente a esse. In questo contesto si inserisce anche lo sviluppo di un movimento cattolico italiano, diffuso prevalentemente in Italia settentrionale, con impronta fortemente papale e privo delle ombre legittimiste e delle nostalgie per i Borboni ancora forti in Italia meridionale.

L’impegno di Sturzo subì l’influenza del meridionalismo nittiano, tantoché i suoi primi articoli sono proprio ispirati alla celeberrima opera «Nord e Sud». I luoghi dell’attivismo di don Sturzo furono dapprincipio quelli della società civile tradizionale, in cui l’economia era vocata generalmente all’autoconsumo e la gestione economica ad un invincibile paternalismo precapitalista. Questi erano i luoghi, descrive Giovagnoli, in cui contavano molto «i miracoli, i santi stagionali, le preghiere per il tempo, la semina, le guarigioni, gli ex voto, i pellegrinaggi, ma che cominciava indirettamente a risentire dell’avanzamento dell’industria, dell’innovazione tecnologica, dell’inurbamento». 

Scorrevano gli ultimi anni dell’Ottocento e la situazione politica italiana si surriscaldava sempre più – i moti popolari culminati nei fatti di Milano e la feroce repressione di Pelloux furono l’emblema di tale tensione sociale. In questo scenario, don Sturzo comprese l’importanza di attribuire un nuovo valore all’astensionismo imposto dal Non expedit. Trasformando l’astensione in qualcosa d’altro rispetto al crudo, macchinale effetto della presa di Porta Pia, avrebbe potuto preparare il terreno politico per l’ascesa di un partito cattolico autonomo. Solo in questo modo sarebbe stato possibile divincolare i preti cattolici dalle fazioni partitiche e dalle amicizie che li legavano al notabilato locale. La via di mezzo introdotta da Sturzo fu quella di un cattolicesimo laico, strettamente legato al papa ma lontano dal clero.

L’azione politica di don Sturzo iniziò dai comuni. Sempre Agostino Giovagnoli afferma che: 

Nell’immediato, per i cattolici l’azione a livello comunale continuò a costituire una strada obbligata. Sturzo vi si dedicò con grande impegno, mostrando rare capacità di comprensione e di gestione dei problemi amministrativi locali. La concentrazione sulla dimensione municipale corrispondeva in lui a convinzioni profonde, incentrate sulla valorizzazione degli enti intermedi che l’individualismo liberale combatteva e che il centralismo statale soffocava. Ma cominciò a svilupparsi in lui anche la persuasione che la battaglia politica comunale costituisse un fondamentale prova per contrastare il confronto basato sulle «persone» e sui «danari» invece che sulle «idee» e sui «programmi». 

Agli inizi del Novecento il problema più importante era però l’alleggerimento delle tensioni tra papato e Regno d’Italia, a seguito delle politiche giolittiane. Perché ciò induceva i cattolici a riprendere parte alla politica italiana, alleandosi con il blocco liberale. Urgeva dunque un partito popolare dei cattolici che si basasse sul cattolicesimo aconfessionale, sull’autonomia dall’autorità ecclesiastica e sulla scelta democratica. 

La nascita di un partito nazionale si legava a filo diretto con la questione meridionale. Don Sturzo attribuiva un grande valore ai movimenti sociali, perciò sostenne la formazione di casse rurali e di cooperative agricole: unici strumenti per favorire la formazione della piccola proprietà terriera. Profuse il suo impegno anche nella difesa delle masse di contadini più povere: tentò la loro aggregazione al fine di modificare i patti agrari. La trasformazione dei contratti di gabellotto in vera e propria affittanza agricola e la lotta per rendere il latifondo abitabile furono i pilastri del suo impegno tra le masse contadine. Ma il nodo della questione meridionale era da ritrovare secondo Sturzo in una condizione di immobilità sociale ed economica, a cui il clero e i vescovi partecipavano. 

Egli fu favorevole all’introduzione della legge elettorale proporzionale nel 1919, dal momento che era l’unico metodo per fare entrare le masse nella politica comunale e territoriale. Condusse battaglie contro il latifondo, al fine di garantire una concreta emancipazione rurale. Sturzo fu anche un sostenitore delle regioni amministrative, che considerava la terza tappa della rivoluzione meridionale. Invero la questione cruciale era rappresentata – come per De Viti De Marco, Salvemini e gli altri – dall’immotivato protezionismo. Quantunque gran parte del meridionalismo fosse un giurato nemico del regionalismo, egli vide nella costituzione delle regioni l’unico metodo per contrastare un accentramento eccessivo dello Stato. Dopodiché il Mezzogiorno avrebbe potuto affrancarsi anche dal regime doganale protezionistico. 

Similmente ai Fortunato, ai Nitti e ai Dorso, egli credeva che la questione meridionale fosse una questione nazionale, e sostenne fortemente la sua introduzione nel programma del Partito popolare italiano. Don Sturzo rifuggiva dalla retorica semplicistica che intendeva individuarne le cause nell’indole dei meridionali, così come allo stesso modo criticava aspramente la dottrina che proponeva di risolvere i problemi del Sud con programmi speciali di lavori pubblici. La questione era anzitutto politica. Bisognava contrastare il particolarismo campanilista del notabilato locale, costruendo uno spirito unitario che desse un’armonia d’azione e di pensiero. 

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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