Mar. Dic 3rd, 2024

Dalla crisi del Novecento all’intelligenza artificiale

5/5 - (1 vote)

Il Novecento oppone delle resistenze particolari agli innumerevoli tentativi di definire gli assetti che lo hanno caratterizzato, soprattutto dal punto di vista dell’universalità delle sue categorie, a tal proposito molte sono state le riflessioni attorno alle definizioni da attribuire. In generale si rintracciano degli strati comuni relativi all’individuazione della cultura della ‘crisi’, ma questa espressione andrebbe problematizzata in relazione ai diversi significati che il termine assume. La locuzione ‘crisi’ può diventare inutilizzabile, nel Novecento non sono mancate delle posizioni che non solo ne hanno negato l’esistenza, ma che ne hanno anche sottolineato la caratteristica di crescita e produttività. La crisi da questo punto di vista diventa l’espressione di un potenziamento della cultura scientifica, che nel Novecento ha avuto uno sviluppo straordinario sotto il profilo dell’analisi dei metodi stessi. L’idea di un’epoca difficile si risolve anche nella crisi più strettamente filosofica, nell’incapacità della filosofia di rintracciare le ragioni del proprio impegno in un’epoca dominata dalla razionalità scientifica e dalla tecnica. Tale difficoltà riguarda il modo di intendere il rapporto dell’uomo con il mondo nelle forme tradizionali della cultura occidentale. Quali erano queste ‘forme’? Esse si configuravano come la possibilità che la filosofia potesse presentarsi come ‘pensamento complessivo del tempo’, ovvero capace di prendere coscienza e di autorappresentarsi il tempo in maniera totale.

LA CULTURA DELLA CRISI TRA FREUD E NIETZSCHE – Se si accetta l’idea della cultura della crisi in quanto lettura della società contemporanea è importante retrodatare i segni premonitori presenti nella modernità quando si incrociano alcune esperienze di pensiero feconde ma inattuali nel loro tempo, diventate però adatte ad una riflessione sul Novecento. Freud e Nietzsche sono due interpreti di rilievo nella comprensione del sistema etico-politico ed epistemologico dell’età della crisi.

Freud, analizzando i territori della coscienza è costretto ad ammettere, nel 1918, che nell’uomo non si trova molto di buono giacché la psicanalisi, dallo studio dei sogni e dei sintomi nevrotici degli individui normali, ha tratto la conclusione che gli istinti primitivi del genere umano continuano ad esistere in forma repressa. Inoltre ci ha informati che il nostro intelletto è una cosa debole e condizionata. Freud propone di riflettere sulla figura che Mosè incarna, egli simboleggia la legislazione, della quale gli uomini hanno bisogno per essere difesi non da un nemico esterno, ma proprio dall’animalità che alberga in loro stessi, dalla loro componente più barbara e aggressiva. Se in Freud la riflessione sulla civiltà ha caratteristiche pessimistiche di chi ritiene l’intelletto umano debole, in Nietzsche la critica delle certezze umane ha avuto l’interprete più spietato e coerente.

Nietzsche ritiene che il mondo dominato dalla produzione, nel quale la cultura stessa è diventata industria, sia una costruzione della cultura positivistica basata sull’idea della sicurezza. All’interno di questo scenario la società umana è dominata dalla sindrome dell’impiego, dove gli uomini di cultura sono diventati impiegati di Enti e della vita stessa.

Nell’età contemporanea le voci che propongono una riflessione sul mondo civilizzato creato dalle idee positivistiche segnano anche una ‘crisi della politica’, intesa come capacità di agire attivamente nelle decisioni della polis. Per il mondo contemporaneo la dimensione pubblica non è più identificabile con la civitas degli antichi, ma coincide con il mondo che Mc Luhan definiva ‘villaggio globale’.

Alla luce degli eventi che hanno lacerato il Novecento, è chiaro che esso non può più essere letto secondo le categorie storiche tradizionali, poiché gli eventi che lo hanno caratterizzato mettono in evidenza i limiti della ragione umana. Di fronte all’impensabilità del secolo scorso, su cui i nostri tempi ne sono un lungo, se pur diverso prolungamento, il fenomeno totalitario si pone nei termini radicali della terribile conclusione di una crisi annunciata, all’interno della quale il deposito concettuale della filosofia politica occidentale non serve più.

I LIMITI DELL’UOMO – La crisi dell’azione all’interno della crisi del soggetto politico nel XX secolo è legata ai cambiamenti che la ragione tecno-scientifica ha apportato nel mondo, dove si assiste ad un allargamento della dimensione pubblica dell’agire, ma non siamo preparati ad un controllo così ampio della nostra realtà geopolitica. Gli assetti politico-geografici si sono allargati a dismisura nel progresso portato dallo sviluppo della tecnica, per cui l’amministrazione dello Stato esige l’esercizio di un potere più anonimo, per questo il risultato sembra essere orientato alla mancanza di fiducia nella capacità che l’uomo possiede di esercitare il controllo della cosa pubblica, lasciamo che sia la scienza ad organizzarci la vita.

L’uomo moderno ha sviluppato una grande conquista, ovvero il dominio sulla natura e la possibilità di orientare la propria azione liberandosi dai limiti imposti dalle necessità naturali, ma sicuramente pagando a caro prezzo tale emancipazione. Sotto il baluardo dell’azione abbiamo creato processi non naturali, grazie ai quali siamo stati capace di compiere progetti che la natura non sarebbe mai stata in grado di offrirci. Il limite naturale non rappresenta più un punto di arresto per l’uomo, egli è all’altezza di realizzare scoperte scientifiche che portano a delle creazioni tecniche altamente sofisticate, ma che mutano l’ambiente all’interno del quale si inserisce la vita dell’uomo, falsificandolo a dismisura. Il nuovo potere sembra assumere le caratteristiche di un grande Leviatano, non più dai piedi d’argilla, ma da un’intelligenza artificiale che rischia di esercitare un controllo subdolo e di difficile individuazione, schiacciando l’ultimo residuo di un’umanità che assomiglia sempre più ad una monade informatica. Quale destino per l’uomo?

di Annachiara Borsci

Annachiara Borsci è docente di Filosofia e Storia al Liceo "Moscati" di Grottaglie (TA). Dopo la Laurea in Filosofia, conseguita all'Unisalento di Lecce nel 2004, ha proseguito gli studi conseguendo nel 2009 il Dottorato di ricerca in discipline storico- filosofiche presso la stessa Università di Lecce sul pensiero di Hannah Arendt dal titolo "Il problema del male e la rifondazione della politica".

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *