Gio. Set 19th, 2024

Il potere e il sesso, dalla clandestinità sessuale al Pride

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Sulla questione sessuale c’è sempre stato un gran cicaleggio, e sicuramente al potere ha fatto anche comodo. Lo aveva capito per primo Michael Foucault, descrivendo in maniera fulgida, profonda e tormentatissima, nei quattro volumi di Storia della sessualità – uno, Le confessioni della carne, edito postumo in barba alle volontà dell’autore –, i processi di costruzione della sessualità.

La percezione dei nostri contemporanei in materia di sesso e sessualità potrebbe, a voler semplificare il quadro d’analisi, essere organizzata in due categorie di pensiero opposte. Da un lato ci sono quelli che pensano che se ne parli troppo poco; generalmente costoro afferiscono alla compagine ideale e culturale del progressismo occidentale e muovono i loro passi sull’onda di una più ampia, corale liberalizzazione dei costumi, ove tutto ciò che non è nocivo deve essere concesso. Dall’altro lato intravediamo l’austera, ritta morale conservatrice del tardo Ottocento e dell’inizio del Novecento, che oggi attecchisce in chiave rivisitata anche in Oriente e nella destra postfascista europea.

Questi i poli del «discorso sulla sessualità», con le innumerevoli eccezioni, anch’esse parte del discorso stesso, che si collocano su una linea mediana, sul limes (precipuamente si fa riferimento a quelli che non sposano né l’una né l’altra linea di pensiero, cercando di trovare riparo in una sorta di ibridismo moderato molto vicino alla giustizia mediana di aristotelica memoria).

LA LIBERALIZZAZIONE DEI COSTUMI – La questione sessuale a me pare sia in fondo questa: volente o nolente esiste un potere, non riducibile al palazzaccio della Procura né al manganello del poliziotto infervorato, che disciplina e regolamenta tutto ciò che si afferma all’interno dello scenario sociale; il potere costruisce senso, significati e modi d’essere che vengono poi instillati in coloro che a quel potere dovranno sottomettersi; la lotta interiore del soggetto è quindi una battaglia combattuta sulla linea di confine tra socialità materiale e individualismo soggettivistico.

L’analisi del divenire storico degli ultimi due secoli lascia intendere che i costumi vadano via via liberalizzandosi – emblema di questo processo è la sessualità femminile, alla quale magari si dedicherà un articolo in seguito. Il fil rouge che unisce il passaggio dalla gonna lunga e i costumi da bagno verecondi alla minigonna e al bikini è pressoché lo stesso che collega il passaggio dalla clandestinità sessuale dei non-etero alle manifestazioni corale dei Pride. Il sottosuolo ideale è a mio modo di vedere lo stesso: l’individuo deve essere libero di esprimere se stesso in ogni modo egli ritenga opportuno, dato che l’espressione del sé non è dannosa per gli altri.

I sostenitori di questa dottrina sono tuttavia ben lontani dal decostruzionismo foucaultiano, e sembrano sostenere che la sregolatezza di tutte le sessualità sia l’unico modo per sottrarsi alla volontà di un potere che intenderebbe opprimere i corpi e le esistenze in categorie precostituite. Ferme restando la piena condivisione del contrasto al dispositivo del sesso e la garanzia di un’ampia, corale libertà di espressione della propria sessualità, la teoria della prassi della libertà sessuale contemporanea dovrebbe forse essere determinata osservando il potere da una prospettiva differente.

IL POTERE E LA RESISTENZA SESSUALE – Michael Foucault, come già accennato qualche riga più sopra, fu il primo a sostenere che il potere instillasse nei corpi degli individui delle norme sul sesso e sulla sessualità, recludendo la loro esistenza in categorie attraverso l’utilizzo della tecnica. Gli esempi potrebbero essere molteplici ma l’economia saggistica impone una certa frugalità, perciò mi limiterò a citarne uno solo: «la categoria psicologica, psichiatrica e medica dell’omosessualità si è costituita il giorno in cui — il famoso articolo di Westphal del 1870 sulle “sensazioni sessuali contrarie” può essere considerato come data di nascita — è stata caratterizzata piuttosto attraverso una certa qualità della sensibilità sessuale, una certa maniera d’invertire in se stessi l’elemento maschile e quello femminile, che attraverso un tipo di relazioni sessuali» (Michael Foucault, La volontà di sapere). Il passaggio dalla sodomia all’omosessualità qui è breve ma significativo: il sodomita era considerato dalla Chiesa cattolica una sorta di peccatore recidivo, mentre l’omosessualità diventava categoria esistenziale e specie umana.

Il potere quindi ordina attraverso le categorie, imponendo il dispositivo nel disordine dell’irrazionalità umana. Lo fa attraverso l’acquisizione di informazioni e attraverso la «trasposizione nel discorso» del sesso. La parola, simbolo, alla maniera lacaniana, ed espressione dei significati, viene colonizzata da una certa norma e da un certo modo d’essere del discorso. Il parlarne porta ad emersione il non-detto e la disciplina del discorso imbriglia la comunicazione dei significati condizionando l’agire dell’individuo. La pastorale cristiana, mutata così tanto nel periodo post-tridentino, è un esempio di questo metodo; così come le norme di costume sul discorso del sesso sono l’espressione palese del processo di pedagogia sessuale del potere.

La diversa prospettiva attraverso cui bisognerebbe osservare il potere ha al suo centro la concezione del potere come elemento immanente al cum-vivere. Non c’è società, gruppo o aggregazione sociale di sorta che non sperimenti la presenza di un potere al suo interno; l’anarchia delle relazioni di gruppo è mera utopia in qualsiasi contesto sociale (laddove ciò che alcuni chiamano anarchia sarebbe in realtà norma e avrebbe anch’essa in seno dei limiti). Data la sua esistenza immanente e persistente, bisognerebbe trovare dei metodi di (r)esistenza quotidiana e politica degli individui soggetti al potere. Resistenza dei corpi e delle esistenza come unico modo di continuare a convivere con il potere senza lasciarsi sopraffare o escludere, lento processo di quotidiana normalizzazione del conflitto.

LA DIVISIONE TRA SESSO E SESSUALITÀ – Dapprincipio bisognerebbe separare il sesso dalla sessualità, circoscrivendo la loro natura autonoma e non interdipendente. Il sesso è l’atto che culmina dall’insieme di desideri e pulsioni interiori, concretizzandosi ma non esaurendosi nella pratica sessuale; la sessualità è il complesso dei modi di rappresentazione del sé sociale agli altri individui e al potere stesso. Il sesso è privato, intimo e silenzioso; mentre la sessualità è eccentrica, vistosa e manifesta. Sesso come zona d’ombra in cui il potere non può e non deve entrare; sessualità come strumento di resistenza dell’individuo alla categorizzazione del dispositivo del sesso. Il sesso non determina la sessualità e viceversa, cosicché ad una determinata pratica sessuale non corrisponde necessariamente un certo tipo di sessualità. La scissione di questi due elementi a me pare fondamentale per la resistenza materialistico-esistenziale.

IL FENOMENO PRIDE – In questo caso, il fenomeno Pride può essere una fondamentale occasione per dare impulso ad una nuova resistenza. Uscir fuori – secondo un vecchio slogan degli anni Settanta – non è qui la nevrotica reazione di una minoranza oppressa, ma l’occasione che la resistenza ha di dispiegare il suo potere materiale e soggettivo. Il fenomeno Pride si fa così fucina di nuove forme di sessualità, tutte racchiuse nel segno più inclusivo che la simbologia abbia mai generato: il segno più (+). LGBTIQIA+ non è una mera sigla identitaria, bensì l’espressione proteiforme di una linguistica inclusiva che dismette i panni della categoria chiusa per consegnarsi alle indefinite declinazioni della possibile sessualità del domani. È un nuovo, ossimorico dispositivo del sesso che nel mettere ordine decreta la morte della categorizzazione e la nascita di una nuova regola sociale.

Se saremo in grado di sottrarre alle grinfie del potere e del suo discorso il sesso, proteggendolo nel cono d’ombra dell’intimità d’alcova; se sapremo rescindere il filo artificiale che lo ha legato alla sessualità, plasmando quest’ultima per osmosi e insidiando ogni spazio d’espressione dell’individuo. Se sapremo fare ciò, dicevo, la rappresentazione orgogliosa del sé (il Pride) diventerà non più solo un giorno di festa e d’inclusione, ma il teatro di una resistenza popolare, collettiva. Questa, a mio parere, sarebbe davvero una cosa di cui essere proud.

di Domenico Birardi

Attivista politico e studente della Facoltà di Giurisprudenza a Taranto all'Università Aldo Moro.

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